Sergio Mattarella, la valanga di voti del Pd trasformano il presidente in un candidato di parte
Prima 16 poi 39, mercoledì 125, giovedì 166 e ieri addirittura 336. Sergio Mattarella ha fatto il possibile per rendere definitivo il suo addio. Si è congedato pubblicamente in occasione di ogni evento o cerimonia, ha dichiarato platealmente la sua contrarietà ad un secondo mandato. Ha persino, per essere sicuro che il concetto fosse chiaro, fatto circolare in rete e sui giornali le immagini del suo trasloco, con tanto di scatoloni e materassi. Ma non c'è niente da fare. Ad ogni scrutino c'è un drappello di grandi elettori che continua a scrivere il suo nome sulla scheda. E con il passare dei giorni, il gruppetto di fan si ingrossa, trasformando l'operazione da una semplice testimonianza di affetto e stima ad un orientamento politico di cui non si può non tenere conto. Nell'ultima tornata il numero delle preferenze assegnate al capo dello Stato uscente ha raggiunto dimensioni non solo non trascurabili, ma assolutamente significative. Considerando che al voto non ha neanche partecipato il centrodestra, togliendo circa 450 grandi elettori ai 1009 complessivi, e che le stime parlavano di un'asticella che si sarebbe dovuta fermare sui 230-250 consensi. Il presidente in carica, fa ad esempio notare il piddino Stefano Ceccanti, ha preso in realtà 370 voti: «Ai 336 vanno aggiunti almeno 35 dei 46 del quinto scrutinio provenienti dal centrodestra che non ha partecipato al sesto». In altre parole, Mattarella, ufficialmente indisponibile al bis e senza che ci fosse alcun accordo politico formale ha preso quasi le stesse preferenze di Elisabetta Casellati (382 voti).
DIBATTITO - «L'idea di continuare ad alimentare il dibattito su Mattarella è figlia della contingenza politica ma è un atto contro le volontà del presidente...», ha tagliato corto il leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Eppure nessuno esclude formalmente l'ipotesi, che sembra scaldare il cuore soprattutto della sinistra, a corto di idee e terrorizzata dalla possibilità di trovarsi per la prima volta senza un presidente "indicato" dal proprio schieramento politico. Anche Enrico Letta, pur non chiamandolo direttamente in ballo, continua a parlare di Mattarella come il «massimo», il punto di riferimento per trovare un candidato che sia «alla sua altezza». Certo nella serata di ieri è iniziata a circolare con insistenza, in particolare per bocca di Matteo Salvini e Giuseppe Conte, i due "fraterni" nemici, l'ipotesi che il prossimo presidente sarà una donna. E qui, tornano in ballo i nomi dell'ex segretario generale della Farnesina ed attuale direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), Elisabetta Belloni, oltre che del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, e della presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione (Sna), Paola Severino. Ma la terna che sarebbe stata al centro del trilaterale Conte, Salvini e Letta non è affatto uscita di scena. E tra quei tre candidati, accanto a Mario Draghi e Pierferdinando Casini, continua a campeggiare anche lui, il Sergio nazionale. Ultima spiaggia? Asso nella manica? Uovo di Colombo? Ognuno definisce l'ipotesi di trascinare nuovamente Mattarella sulla poltrona del Quirinale in maniera diversa. Ma tutti continuano a ritenerla ancora un'opzione percorribile. Anche se, dopo l'exploit del sesto scrutinio lo scenario è cambiato. E non necessariamente a favore del bis. L'ipotesi di lasciare tutto così com' è resta una delle soluzioni preferite dai mercati finanziari, che più di tutto temono l'instabilità. Ed è anche il sogno segreto di tutti i parlamentari che tremano all'idea di poter perdere il seggio anzitempo (che per molti significa anche la pensione) senza alcuna garanzia di poterlo rioccupare. Anzi, per tanti con una discreta certezza di non rivederlo più. Pure i leader fino ad ora hanno considerato il bis come un modo per limitare i danni, tutti perdono, ovvero nessuno perde. Si aspetta qualche giorno per far sbiadire nell'opinione pubblica l'immagine dell'incredibile figuraccia e poi si inizia a lavorare per la campagna elettorale del prossimo anno, più baldanzosi di prima. Senza doversi occupare di complicati rimpasti né dell'eventualità che a Palazzo Chigi non ci sia più Mario Draghi a fare i compiti a casa imposti dall'Europa sul Pnrr.
PIANO C - Ma ora che il presidente si è beccato 336 voti con l'assenza del centrodestra? La partita si complica e il piano C perde efficacia. Basta sentire quello che arriva, ovviamente non in chiaro, dal Pd per averne un'idea. «Ci vuole serietà», fanno sapere fonti del Nazareno, «Per noi rimane fondamentale preservare l'unità della maggioranza di governo. Intanto invitiamo tutti a prendere atto della spinta che da due giorni e in modo trasversale in Parlamento viene a favore della riconferma del presidente Mattarella». Indiscrezioni che non fanno che peggiorare la situazione, trasformando l'arma finale, la soluzione delle soluzioni, in un giocattolo targato centrosinistra. «Non va tirato per la giacchetta, ma, ogni giorno che passa, le probabilità di una sua elezione aumentano», ha detto Renzi dopo il voto, forse sottovalutando il fatto che appiccicare un'etichetta di partito sul nome super partes, cosa che ultimamente si era ben guardato dal fare anche lo stesso Enrico Letta, farebbe diventare la sua elezione una sconfitta indigesta per il centrodestra. Con tanti saluti all'unità della maggioranza di governo.