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Elisabetta Belloni al Quirinale, "la sorpresa nella notte". Il terzo nome di Letta e Salvini, una grossa incognita

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Il nome jolly calato nella notte è quello di Elisabetta Belloni. Sarà la diplomatica alla guida del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, secondo il Corriere della Sera, "il terzo uomo" nella corsa al Quirinale che Enrico Letta presenterà al centrodestra. Un nome super partes, da aggiungere a quelli che sembrano gli ultimi due possibili candidati: Pier Ferdinando Casini, che però raccoglie freddezze sia nel Movimento 5 Stelle sia nel fronte Lega e Forza Italia, e Mario Draghi. Il premier è tornato d'attualità dopo 24 ore in disparte, anche se il suo nome complicherebbe le trattative aggiungendo sul tavolo il tema del nuovo governo. Sullo sfondo, come estrema ratio, il bis di Sergio Mattarella. La mossa della disperazione da non escludere vista la palude in cui si sono infilati i leader, tra veti incrociati e assenza di un vero "king marker". 

 

 



Nelle prossime ore si capirà se lo stallo è stato superato. Quasi impossibile che si arrivi al voto già oggi, per la quarta tornata. Il segretario del Pd Letta, ai suoi, mercoledì sera ha annunciato ancora scheda bianca e "una giornata di dibattiti". Il centrodestra si sta riunendo in questi minuti e qualcosa potrebbe venir fuori, anche se le perplessità sulla Belloni restano. Non tanto per il suo "standing" o per il passaggio, delicato, dai servizi segreti al Colle, quanto per la sua figura "tecnica" che doppierebbe quella di Draghi, imbullonato a Palazzo Chigi. Un doppio smacco per la politica, che teme di fatto il commissariamento totale. 

 

 

 



Pare invece subito tramontata l'ipotesi di Sabino Cassese. Un retroscena del Foglio mercoledì pomeriggi riferiva di un incontro a casa del giurista ai Parioli con Matteo Salvini, ma il leader della Lega ha smentito. Le maggiori ritrosie non verrebbero però dalla Lega, ma dal Movimento 5 Stelle. Cassese è nome d'area progressista, ma troppo vicino alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, giudicato troppo "garantista" e soprattutto assai severo con il modello dei "Dpcm" a fiducia forzata di Giuseppe Conte. Non a caso il Fatto quotidiano ha subito bollato Cassese come colui che "aveva paragonato Conte a Orban". Di fatto, un marchio d'infamia grillino (per il professore).

 

 

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