Quirinale, se il Pd considera il Colle sua proprietà: chi vuole dettar legge col 15%
Nella partita del Quirinale il centrodestra si è mosso finora in modo trasparente e lineare, mentre l'altra parte sembra una maionese impazzita: tutti contro tutti. Nel centrodestra si è ipotizzata in modo trasparente e lineare la candidatura di Silvio Berlusconi il quale - dopo le reazioni rancorose e i veti arrivati dalla Sinistra - per evitare spaccature che il Paese oggi non capirebbe, ha deciso di fare un passo indietro «ponendo sempre l'interesse collettivo al di sopra di qualsiasi considerazione personale», come ha scritto l'ex premier, che ha aggiunto: «L'Italia oggi ha bisogno di unità al di là della distinzione maggioranza-opposizione» per affrontare pandemia ed emergenza economica. Bisogna riconoscere che questo è senso di responsabilità e senso delle istituzioni e dovrebbe indurre tutti ad abbandonare settarismi e pregiudizi. Invece dal Pd è arrivata una risposta faziosa, in cui non si ravvisa alcun senso delle istituzioni. Enrico Letta, segretario Dem, non ha concesso nemmeno l'onore delle armi al leader di Forza Italia (a cui nel 2013 chiese, ottenendolo, l'appoggio per il suo governo).
Letta ha dichiarato: «Il centrodestra non è maggioranza e non ha quindi diritto di prelazione sul Quirinale... Ci vuole un accordo alto su un nome condiviso». Intanto va detto che per il Pd il "nome condiviso" è sempre e solo un nome indicato dal Pd o comunque di area Pd. Ma la singolarità della dichiarazione di Letta sta nel fatto che i Dem, in concreto, non riconoscono al centrodestra il diritto di indicare dei nomi per il Quirinale. Sembra quasi che nel Pd si concepiscano le istituzioni come una propria questione esclusiva. Ma così il partito di Letta non dimostra senso dello Stato e non comprende che il Paese e le istituzioni hanno bisogno di una legittimazione reciproca delle parti politiche. Perché nessuno può avere una concezione proprietaria dello Stato. È pur vero che nella seconda repubblica - cioè da quando esiste il centrodestra - è sempre stata la Sinistra a indicare il nome del Presidente della Repubblica (e lo ha fatto pure senza cercare accordi su "nomi condivisi").
Tuttavia ciò non è accaduto per "diritto divino", bensì perché - per puro caso (e per fortuna del Pd) - la scadenza del Quirinale si è sempre presentata nei momenti in cui la Sinistra aveva più parlamentari. Oggi, per la prima volta, non è così, infatti il Pd ha solo 154 "grandi elettori" e il centrodestra ne ha 451 e risulta la coalizione più forte. È sorprendente che Letta, con il 15% dei grandi elettori, pretenda di porre il veto al centrodestra come se, pur avendo numeri maggioritari, non avesse voce in capitolo per il Quirinale. Il centrodestra, col 37%, è la coalizione più forte uscita dal voto del 2018 (mentre il Pd fu il grande sconfitto arrivando al minimo storico del 18%). Inoltre, da almeno 3 anni (nel voto europeo, nelle regionali e nei sondaggi), il centrodestra sfiora nel Paese il 50%, staccando la Sinistra di una decina di punti percentuali (in uno degli ultimi sondaggi addirittura supera il 50%, che in termini di seggi significa maggioranza schiacciante in Parlamento). Ciò detto è chiaro che il centrodestra non può pensare di eleggere un presidente da solo, infatti sta cercando il consenso più vasto possibile. Ma è altrettanto chiaro che il Pd non può negare a questa coalizione il diritto di avanzare i suoi nomi: lo riconosce lealmente anche un leader avversario come Matteo Renzi.
Letta farebbe un grosso errore a ritenere l'elezione di una personalità proposta dal centrodestra come una sua sconfitta personale. È invece l'occasione per una vera legittimazione reciproca senza la quale non ha senso nemmeno la sua proposta di un "patto di legislatura per il governo". A meno che il Pd non ritenga di dettar legge con il 15% (peraltro diviso al suo interno) all'altro 85% dei grandi elettori.