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Pier Ferdinando Casini al Quirinale, il balzo in avanti: chi è pronto a sostenerlo

Pier Ferdinando Casini

Fausto Carioti
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Ieri si è avuta la conferma che i rapporti umani, in politica, contano. A fare la differenza è stato ciò che Silvio Berlusconi pensa di Mario Draghi. O - se si preferisce - il modo in cui Draghi si è comportato col Cavaliere in quest'ultimo anno: un trattamento non diverso da quello che il premier ha riservato agli altri leader di partito, con la differenza che Berlusconi non è, e tantomeno si crede di essere, uno come gli altri. Prima, Draghi ha scelto i ministri di Forza Italia senza consultarsi con lui. Quindi si è guardato bene dal chiamarlo per chiedergli consigli o anche per uno scambio di vedute sulla situazione internazionale (argomento su cui Berlusconi non è proprio l'ultimo arrivato). Persino in questi giorni, nei quali una telefonata avrebbe potuto fare la differenza, niente, manco uno squillo. Il confronto è avvenuto a distanza, tramite Gianni Letta, e dire che il fondatore di Forza Italia non abbia gradito è un eufemismo. Così, nel momento di compiere l'atteso passo indietro, Berlusconi ha fatto una mossa in più. «L'Italia oggi ha bisogno di unità», ha scritto nel suo messaggio, e proprio per questo è necessario che il governo di unità nazionale «completi la sua opera fino alla fine della legislatura». Poche parole, sufficienti a cambiare una storia che sembrava già scritta.

 

 

LA REAZIONE DI DRAGHI
Il risultato è che il centrodestra si è trovato unito nel dire «no» al trasloco del premier. E se a questo si sommano la contrarietà dei Cinque Stelle e di una parte del Pd a mettere Draghi al posto di Sergio Mattarella, la candidatura dell'ex presidente della Bce appare compromessa. Resta comunque sul tavolo, perché Draghi è pur sempre l'italiano più apprezzato a livello internazionale e perché la partita è ancora lunga. Sarà interessante, ad esempio, vedere la reazione del diretto interessato: nelle scorse settimane, a palazzo Chigi, c'è chi aveva ipotizzato addirittura le sue dimissioni, qualora i partiti non lo avessero portato in cima al Colle. Difficile crederlo, ma è probabile che, da ora in poi, Draghi guardi le forze della sua strana maggioranza con occhi diversi, ancora più diffidenti. Vale anche per il Pd. Dove già nella mattinata di ieri si era fatta largo l'ipotesi di cercare un'intesa col centrodestra sul nome di Pier Ferdinando Casini, uno che conta amici in tutti i partiti. Non che manchino le controindicazioni. L'ex presidente della Camera è il candidato di Matteo Renzi, e ciò lo rende di difficile digestione per Enrico Letta. È anche stato eletto in Senato nelle liste del Pd, e questa è una cosa che dentro Fratelli d'Italia, e più ancora nella Lega, pesa. Eppure, proprio il fatto che l'elezione di Casini non farebbe gridare alla vittoria nessuno dei grandi partiti, rende la sua una candidatura credibile. Soprattutto se Luigi Di Maio gli garantirà l'appoggio dei parlamentari del M5S, o almeno di una parte abbondante di loro, come dal Pd gli hanno chiesto di fare.

 

 

IL GIOCO DELLE TERNE
Oggi sarà un'altra giornata ad alta tensione, costellata di colloqui tra leader. Se non si riuscirà a raggiungere l'intesa su Casini si passerà alle "terne", le rose di nomi che ogni schieramento propone a quello avversario. Per questo anche le quotazioni di Letizia Moratti, Marcello Pera e Maria Elisabetta Casellati, nonché di candidati più "istituzionali" come Franco Frattini e Giuliano Amato, da ieri sono in salita. Le votazioni cominciano domani alle 15, ed è molto difficile che per allora si sia trovato l'accordo su un nome capace di ottenere i 673 voti necessari per essere eletto nei primi tre scrutini. Probabile quindi che si inizi presentando candidati di bandiera, e che la prima metà della settimana sia usata per cercare l'intesa su qualcuno in grado di ottenere i 505 voti che, da giovedì, serviranno a chi vorrà salire lassù. E se la situazione s' incarterà, toccherà allo stesso presidente in carica succedere a se stesso: anche le quotazioni di Mattarella, ieri, hanno avuto un'impennata, mentre quelle di Draghi scendevano giù.

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