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Marta Cartabia, il discorso d'addio: non solo Quirinale, le parole che pesano come un macigno. Tutto già scritto?

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 Marta Cartabia

Fausto Carioti
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La fotografia di un mezzo fallimento, un discorso che sembra tanto d'addio e forse lo è davvero. E una domanda che resta lì, sospesa: se non ha trovato lei la forza per farlo, con il suo curriculum da ex presidente della Consulta, il suo essere riconosciuta super partes e l'appoggio di un presidente del consiglio come Mario Draghi, potrà farcela chi verrà dopo di lei, magari messo lì dalla segreteria di un partito o con la benedizione di qualche corrente della magistratura? Insomma, Marta Cartabia ieri ha letto in Senato e poi alla Camera la sua relazione sull'amministrazione della giustizia, e al termine di undici mesi di governo e un anno dopo l'uscita del libro in cui Alessandro Sallusti e Luca Palamara raccontano come funziona il "Sistema", il guardasigilli ha avvertito che nel Consiglio superiore della magistratura c'è del marcio e occorre trovare una soluzione subito, perché è tardi.

 

 

 

«Sappiamo bene», ha detto rivolta ai parlamentari elencando le cose fatte, «che all'appello manca ancora un fondamentale e atteso capitolo: la riforma dell'ordinamento giudiziario e del Csm, che il presidente della Repubblica e alcune forze politiche hanno ancora di recente sollecitato». Ha aggiunto quindi ciò che già si sapeva, ovvero che il disegno di legge delega è incardinato alla Camera già dai tempi del governo Conte e che lei presenterà gli «emendamenti governativi», ossia il contenuto della riforma riguardante «il sistema elettorale, la composizione e il funzionamento del Csm; il conferimento degli incarichi direttivi, le valutazioni di professionalità, il collocamento fuori ruolo, il concorso per l'accesso in magistratura e il rapporto tra magistrato e cariche elettive», nelle prossime settimane. Versione breve: non è stato fatto nulla di concreto, la riforma è ancora tutta da scrivere e nessun testo è stato depositato nell'unico posto che conta davvero, ossia il Parlamento che dovrà discuterla e approvarla.

 

 

 

MANDATO AGLI SGOCCIOLI

È una buona cosa, quindi, che il ministro (anzi «la ministra», come si fa definire sul sito del ministero) dica in pubblico che la riforma del Csm è urgente; però sulla bilancia pesa di più l'altra cosa, quella che lei non ha detto: che il suo mandato con ogni probabilità è agli sgoccioli e la pratica passerà nelle mani di un altro ministro che, se vorrà, avrà tutto il diritto di ricominciare il lavoro da capo. Succederà se la Cartabia non sarà più ministro, persino se verrà eletta presidente della Repubblica: l'abbiamo vista con Sergio Mattarella, l'inutilità di certe prediche dal Quirinale. Succederà a maggior ragione, chiunque ci sia al dicastero di via Arenula, se a sostenere l'esecutivo sarà una maggioranza diversa da questa. In ogni caso rimarrà il sospetto: che la Cartabia abbia tenuto volutamente da parte la rogna più grossa, quella che, se affrontata con decisione, avrebbe potuto compromettere il suo passaggio a un incarico più prestigioso. E pazienza se la riforma dell'ordinamento giudiziario e del Csm era anche il compito più importante che le era stato affidato, il primo motivo per cui lei ieri era lì. 

 

 

 

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