Covid, drogati di statalismo, la difesa dal virus ha fatto il resto. Povera Italia: libertà addio
La pandemia ha rappresentato un'occasione strepitosa per il trionfo della "giustizia sociale" di stampo statalista: e tutti i pregiudizi, tutti i tic, tutti gli automatismi della propensione anti -liberale hanno trovato nelle esigenze di contenimento dell'infezione un impagabile motivo di sfogo.
Che sia lo Stato a decidere che cosa è bene per il cittadino e che cosa no, a consentirgli questo e a vietargli quest' altro, ovviamente e ancora per il suo bene, a concedergli o a negargli diritti secondo un modulo arbitrario e provvisorio, a far lavorare poco tutti rimediando ai mancati guadagni privati con la distribuzione della mancia pubblica, a tener bassa l'economia egoista e discriminatoria ripagando i cittadini con la magnanimità del calmiere, a espropriare per pubblica utilità il diritto di fare impresa, di riunirsi, di associarsi, di manifestare, di professare qualsiasi culto che non sia quello verso il potere pubblico che ci cura, che ci impedisce di farci male, che ci nutre, che decide cosa e quanto dobbiamo sapere del virus, perché il resto è secretato: tutto questo non era il ricasco odioso e inevitabile di una situazione eccezionale bensì, piena di meravigliosi attrezzi gratuiti, la provvidenziale palestra in cui si esercitava l'atletica statalista che ci avrebbe allenati ad essere migliori e cioè tutti uguali, tutti un po' penitenti, tutti soggetti al precariato dei diritti nella Repubblica della Salute. Uscirne, per molti, sarà motivo di gran rimpianto.
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