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Matteo Salvini, una donna al Quirinale: il piano B se dovesse naufragare Berlusconi

Fausto Carioti
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Tutti, Enrico Letta per primo, aspettano un cenno da Matteo Salvini. «Una sua indicazione sarebbe decisiva», sospira un esponente del Pd. Solo che l'indicazione attesa, il segnale che il segretario della Lega ha pronto un candidato diverso da Silvio Berlusconi e votabile anche da Letta (perché è di questo che si sta parlando), non arriva. Spunta qualcos' altro, però. Riccardo Molinari, capogruppo del Carroccio, dice che «occorre preparare un piano B, trovare anche un'altra figura di centrodestra che sia condivisibile dal centrosinistra». Sibillino, aggiunge che «i nomi autorevoli non mancano». Salvini promette che il nome per il Colle giungerà «entro una quindicina di giorni». Insomma, anche se Berlusconi è il "piano A", la scelta non è ufficiale né definitiva. Per convincersi, il segretario leghista e Giorgia Meloni vogliono i numeri e i nomi della cinquantina di parlamentari non appartenenti al centrodestra e pronti a votare per lui. I due alleati concordano anche sul punto sino al quale possono stare al gioco di Berlusconi: "king" sì; "king maker", no.

 

 

 

Se vuole provare a essere incoronato re e dà sufficienti garanzie, loro sono con lui; ma se andrà male o rinuncerà, non potrà intestarsi la scelta del prossimo presidente della repubblica, trattando lui col centrosinistra. Salvini vorrebbe averlo per sé, quel ruolo. E ha un nome in testa: è quello di Letizia Moratti, ex sindaca di Milano, oggi vicepresidente e assessore al Welfare della giunta lombarda. Nell'incontro che ha fatto ieri con Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, i leader di Coraggio Italia, Salvini ha tracciato un ritratto del candidato del "piano B" che collima alla perfezione con quello della Moratti. Del resto: non è Letta che insiste sulla necessità di dare più spazio alle donne nelle istituzioni?

 

 

 

Ma le donne ai piani alti vanno bene solo se sono di sinistra. Infatti dal Nazareno hanno fatto sapere al centrodestra che sulla Moratti, così come sul presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, il Pd non intende convergere. Pure Toti e i suoi, ieri, hanno deluso chi puntava su di loro per accoltellare Berlusconi.«Riteniamo che l'accordo politico per l'elezione del presidente della repubblica deve partire da una proposta dei partiti e dei gruppi parlamentari del centrodestra, del quale siamo parte integrante», si legge nel documento approvato dai loro 32 grandi elettori, potenzialmente decisivi. Una promessa di lealtà. Le cose, però, cambierebbero se - come sembrava ieri sera - al vertice di domani dovessero partecipare solo Berlusconi, Salvini e Meloni, senza Toti e gli altri. Ma c'è ancora tempo per gli inviti e non si vede perché il padrone di casa dovrebbe fare uno sgarbo a un gruppo dei cui voti ha bisogno. Così Letta resta fermo alla casella di partenza.

 

 

 

Nemmeno la soddisfazione di poter sperare, eletto il presidente della repubblica, in un governo senza la Lega. Salvini glielo ha detto chiaro e tondo: «Nessuna exit strategy, la Lega c'è, a prescindere da chi sarà il premier». Indispettito per non avere avuto in dono lo scalpo di Berlusconi, il segretario del Pd ha reagito respingendo la proposta, lanciata dal leghista, di dar vita a un governo con dentro tutti i leader. «È un modo per tirare la palla in tribuna», dicono dal Nazareno. Da dove Enrico Borghi, fedelissimo del segretario, prova a intimorire i parlamentari incerti sottoposti al corteggiamento del Cavaliere: «Un'eventuale elezione di Berlusconi al Quirinale determinerebbe la fine di questo governo ele elezioni». Salvini e la Meloni temono che Berlusconi non abbia i numeri, ma Letta ha il terrore opposto: che quei numeri ci siano. 

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