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Quirinale, la sfida segreta dietro la corsa al Colle (e quelle voci su Enrico Letta e Giorgia Meloni)

Fausto Carioti
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Non bastasse Omicron, pronta a tenere qualche decina di grandi elettori fuori dall'assemblea che dovrà scegliere il presidente della repubblica, c'è un'altra variabile che condiziona tutta la partita: la legge elettorale. Perché nella primavera del 2023 (al più tardi) si voterà, e chi comanderà nei cinque anni seguenti lo decideranno, oltre alle schede che usciranno dalle urne, le regole con cui queste saranno trasformate in seggi: se le regole devono cambiare, come molti in parlamento sperano, occorre che la legislatura resti in piedi. E pure questo spinge a lasciare Mario Draghi là dove è oggi. La legge in vigore, il "Rosatellum", assegna il 37% dei seggi di Camera e Senato tramite collegi uninominali a turno secco: significa che lì viene eletto un solo candidato, quello che ha preso più voti, anche se sono meno della metà. Un meccanismo maggioritario che premiai forti e obbliga alle alleanze. Guarda caso, gli unici due leader che accetterebbero di vedere Draghi al Quirinale sono anche i soli che difendono il sistema attuale: Giorgia Meloni ed Enrico Letta. Sondaggi alla mano, se si votasse oggi l'alleanza di centrodestra vincerebbe, Fdi moltiplicherebbe (nonostante il taglio dei parlamentari) i propri eletti e la Meloni, leader del partito che prende più voti, potrebbe ambire alla presidenza del consiglio. Perché mai dovrebbe voler cambiare qualcosa? Se poi il capo dello Stato che assegnerà l'incarico sarà Draghi, mandato lassù anche con il consenso di Fdi, meglio ancora. Letta crede di essere in una situazione simile: leader della forza maggiore di un'alleanza che può puntare alla vittoria. E dunque, pure lui, possibile capo del governo. Con la differenza, non da poco, che la Meloni ha dietro di sé l'intero partito, mentre il suo avversario deve fare i conti con una ciurma per nulla convinta che l'alleanza con Giuseppe Conte abbia possibilità di vittoria.

 

 

 

È uno dei motivi per cui, mentre Letta non esclude di sostenere la scalata di Draghi, un gruppo eterogeneo dei suoi parlamentari gli chiede di lavorare per la soluzione meno traumatica, quella del "Mattarella bis". Buona parte di costoro vogliono riscrivere le regole del voto, anche perché convinti che andare alle urne con una legge a forte impatto maggioritario, come quella attuale, significhi fare un regalo al centrodestra, e non capiscono perché il loro segretario non ci arrivi. Meloni e Letta, però, sono le due eccezioni. Persino Matteo Salvini, raccontano, sta facendo un ragionamento sul proporzionale. «Se si vota col sistema attuale», spiega chi gli ha parlato, «lui finisce secondo dietro la Meloni. Se invece si introduce una legge che non costringe alle alleanze, beh, ognuno corre per conto proprio e lui il giorno dopo le elezioni potrà vantare di avere appoggiato il governo Draghi mentre lei era all'opposizione, e potrebbe sedersi al tavolo di qualunque esecutivo. Di centrodestra, ma non solo». Il leader della Lega, insomma, avrebbe più forni a disposizione, mentre la Meloni ne ha solo uno. Però, appunto, per rimpiazzare il Rosatellum con una nuova legge servono mesi, e anche così si spiega quello che gli uomini del Capitano continuano a ripetere: «La nostra linea è che Draghi debba restare a palazzo Chigi». Prega per il proporzionale, e per mandare al Colle uno che non sia Draghi, la grandissima parte dei Cinque Stelle.

 

 

 

L'unico che vedrebbe con piacere il trasloco dell'attuale premier è Luigi Di Maio, il quale crede, in tal caso, di poter aspirare a palazzo Chigi, ma la sua è una vicenda a parte. Gli altri, nemmeno a dirlo. Tolto il "draghiano" Renato Brunetta, Forza Italia vuole congelare l'ex presidente della Bce a palazzo Chigi, e non solo perché c'è un Berlusconi da piazzare al Colle più alto. Matteo Renzi e i centristi di Giovanni Toti, così come gli altri esponenti dei partiti minori, sono impegnati a tenere Draghi fermo e sperano in una nuova legge. Sanno che difficilmente sarebbero rieletti col meccanismo attuale e intendono usare il 2022 per cambiarlo, in modo da aumentare le probabilità di ritorno in parlamento e magari, al prossimo giro, far parte del gruppo vincente. Per tutti costoro, il sacrificio di Draghi è necessario: si definisce «nonno al servizio delle istituzioni»? Dimostri di esserlo davvero, rimanendo lì dov' è.

 

 

 

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