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Quirinale, Paolo Mieli: "Vi spiego perché Mario Draghi non sarà eletto"

Pietro Senaldi
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«La cosa migliore, anzi l'unica sensata, sarebbe mandare Draghi al Quirinale. Per questo i partiti non lo faranno. Fino a poche settimane fa era tutto uno scrosciare d'applausi: teniamolo a Palazzo Chigi anche per la prossima legislatura, indipendentemente dall'esito delle urne; no, meglio trasformarci da subito in una Repubblica semipresidenziale di fatto, con Draghi al Colle ma dominus anche del governo; eleggiamolo capo dello Stato all'unanimità alla prima chiamata. Oggi, dei 1007 grandi elettori mi pare che neppure uno abbia ancora dichiarato ufficialmente che voterà per mandare l'ex governatore della Bce al Colle». Non è un caso. Paolo Mieli sente odore di bruciato: «Sono abituato a leggere i giornali e decifrare i messaggi che nascondono. Il tempo, pur recente, nel quale si tessevano le lodi di un Paese che, grazie alla coppia Draghi-Figliuolo, era la guida del mondo nella lotta al Covid sono passati e non torneranno. Adesso si fanno le pulci al governo per qualsiasi disfunzione nella gestione di un fenomeno nuovo ed epocale come la pandemia. Hanno cominciato a sostenere che il premier è andato in confusione o che le sue ambizioni presidenziali ne influenzano troppo l'azione di governo, fino a renderla inefficace. Gli si imputa tutto, ma che colpa ha Draghi se i vaccini scarseggiano o se la loro efficacia dura tre mesi anziché sei? Non gli viene perdonato nulla e faranno l'impossibile per sbarrargli la via del Quirinale. È partito un tiro al piccione pretestuoso». Colpa della politica, secondo il grande storico e giornalista, che non vuole crescere e contribuire a fare dell'Italia quel famoso Paese normale al quale tutti aspirano ma solo a parole. «E invece», spiega Mieli, «basterebbe eleggere Draghi capo dello Stato e ogni tassello andrebbe a posto, la politica tornerebbe a contare qualcosa e finalmente ci sarebbe quel cambio generazionale che tutti aspettiamo. Renzi fu un tentativo, ma poi i veterani del Palazzo lo hanno conciato per le feste».

 

Non è normale la rivolta della politica contro il predestinato, l'uomo che deve essere re quasi per una legge naturale?

«In politica bisogna essere pratici. Draghi deve andare al Colle per almeno quattro buone ragioni. Non solo perché è reduce da un'esperienza forse un po' caotica, nelle ultime due settimane, ma certo di successo, dopo essersi caricato sulle spalle un compito non facile, ma soprattutto perché in questo anno da premier ha conosciuto e lavorato con tutto il Parlamento, maggioranza ampia e opposizione, e per questo sarebbe il miglior interlocutore istituzionale di questa classe politica».

La politica non vuole mandarlo al Quirinale perché rivendica i propri spazi...

«E ha una visione miope, dovrebbe infatti eleggerlo, e siamo alla seconda buona ragione, proprio perché Draghi è l'unica figura super partes in grado di rimettere in gioco la politica agli occhi dell'opinione pubblica. Non si sa per chi abbia mai votato, potrebbe far fare le elezioni e dà garanzie, sia in patria che all'estero. Qui in Italia offre la certezza che non farà passare leggi e riforme balzane o troppo sconvenienti per una parte e vantaggiose per l'altra. Sullo scenario internazionale, è in grado di legittimare nei confronti dell'Europa e dei mercati qualunque presidente del consiglio suggerito dal voto popolare».

Non c'è il pericolo che, una volta al Colle, Draghi interpreti in maniera troppo libera il proprio incarico, cercando di imprimere il proprio indirizzo al governo, come ha lasciato trapelare di recente il leghista Giorgetti?

«Al contrario. Il prossimo Parlamento sarà molto diverso da questo, sia numericamente sia quanto a composizione politica. Draghi è il solo che vedo che ha un profilo tale da non poter essere messo in discussione dai futuri deputati che non l'avranno eletto, e per questo sarebbe meglio che andasse al Colle con un voto quasi unanime».

E la quarta buona ragione?

«Adesso che è partita la campagna di delegittimazione tutti si sforzano di nasconderlo, ma Draghi ha indubbie capacità di leadership, che fino a ieri peraltro i partiti esaltavano. E poi, a differenza dei suoi predecessori sul Colle, ha una competenza economica in grado di far abbassare lo sguardo a chiunque. Nessuno, nella materia principale di cui si occuperà il governo per i prossimi anni, potrebbe fare la voce grossa con lui. E questo per il Paese è fondamentale».

Forse è proprio questo il suo tallone d'Achille nella corsa alla presidenza...

«Certo, gli attuali leader di partito sono troppo deboli, non sono legati tra loro da patti affidabili e non hanno una lunga visione prospettica per il Paese. Da anni non governa chi vince le elezioni ma si arriva sempre dopo il voto a esecutivi di compromesso fondamentalmente deboli e di breve durata. Questa melassa senza vincitori né vinti però fa comodo a tutti i partiti. Preferiscono navigare nell'attuale marasma, che prima o poi offre un'occasione a chiunque, proprio come accaduto in questa legislatura, dove c'è stato spazio per tutti e ciascuno ha ottenuto il proprio beneficio».

Descrivi una classe politica irresponsabile, eppure il Paese è sommerso dal debito, le bollette esplodono, i problemi storici sono ancora tutti sul tavolo, la pandemia non è sconfitta...

«Proprio perché l'epidemia morde ancora, la politica è convinta di andare incontro a un'altra legislatura di spesa, durante la quale l'Europa continuerà a tenere chiusi gli occhi. Tutti vogliono proseguire con questa pacchia deresponsabilizzante, come si è visto anche nell'approvazione dell'ultima legge di bilancio. Ecco, mi aspetto che andrà peggio».

E l'interessato cosa ne pensa?

«Non sono un suo confidente ma lo vedo preoccupato per la pandemia e stralunato per la piega che sta prendendo il dibattito politico. Penso che abbia capito bene che i partiti si stanno dando da fare per stritolarlo e che forse questa è la sola cosa sulla quale vanno d'accordo tutti. Non mi stupirei se, compreso che è stato creato un sistema perfetto per distruggerlo, presto annunciasse in qualche modo il proprio ritiro per la corsa al Colle. Se non lo ha già fatto forse è solo per l'escalation del numero dei positivi al Covid degli ultimi giorni, ma non mi stupirei che mollasse appena il contesto lo renderà possibile. D'altronde, nessuno lo ha candidato per il Quirinale ma già tutti pensano a come sostituirlo a Palazzo Chigi».

 Con quale scopo?

«La sinistra insegue l'obiettivo della cosiddetta maggioranza Ursula, staccare Berlusconi dal centrodestra e stritolare così Renzi, che diventerebbe inutile».

Sono conti senza l'oste, ovverosia l'elettorato...

«La sinistra pensa che il centrodestra sia avanti perché c'è Berlusconi e che se glielo prende diventa lei maggioranza. Per anni la sinistra ha sedotto e attratto a sé i numeri due di Berlusconi, ora tenta il capolavoro, sottraendo lo stesso leader azzurro al suo schieramento e di fatto ai suoi elettori. Questo potrebbe avvenire per esempio dopo l'elezione di Amato al Colle, che pare abbia messo in giro la voce di essere disposto a una presidenza breve, più corta dei sette anni».

Un filo avveniristico...

«Diciamo che per la par destruens i calcoli sono giusti, per quella construens invece sono folli».

 

Salvini mi pare stia preparando le contromosse...

«Alludi al riavvicinamento tra la Lega e Di Maio?».

Proprio a quello...

«È una cosa che ha natura tattica. Da parte della Lega è un modo per allargare il proprio spazio di influenza. I grillini invece cercano di sottrarsi al ruolo subalterno che il patto Zingaretti-Conte, ereditato da Letta, ha ritagliato per il Movimento, destinato a rimpiazzare Bersani, pronto a rientrare nella ditta. Può darsi che, se il Partito democratico levasse Berlusconi al centrodestra, Salvini risponderebbe aprendo a Di Maio e che il ritrovato asse tra i due nasconda un messaggio al leader azzurro, ma siamo nel campo delle speculazioni, e il gioco alla fine sarebbe più o meno a somma zero».

Visto che l'hai evocato: quanto credi a Berlusconi presidente della Repubblica? «Giustamente lui ci lavora e finge di crederci, o forse ci crede davvero. Penso comunque che la sua candidatura abbia già sortito un effetto molto positivo: ha tenuto compatto il centrodestra, cosa che nessuno si aspettava, mentre invece nel centrosinistra ognuno dice quel che gli pare. Salvini, Meloni e Giorgetti lo hanno capito infatti gli tengono bordone. Il passo successivo è che Berlusconi porti in dote questa compattezza a un candidato che non è lui, facendolo vincere e traendone beneficio, mostrando una capacità politica senza precedenti. Io penso che questo candidato dovrebbe essere Draghi, ma escludo che vada così perché sarebbe talmente naturale e corretto che l'attuale premier diventasse capo dello Stato che ogni leader si sentirebbe immediatamente espropriato del proprio piccolo potere».

Parte della sinistra ci sta ancora provando con Mattarella...

«Il presidente ha fatto un atto di garbo istituzionale importante, ritirandosi ripetutamente dalla corsa, perché ha capito che confermare per due volte il capo di Stato a termine significherebbe certificare che la Costituzione è andata a pallino e provocherebbe nefande conseguenze che tutti i teorici della sua riconferma non vogliono vedere. La prima sarebbe cristallizzare questa Repubblica dei bussolotti, con premier scaturiti da maggioranze rimediate in Parlamento». 

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