Mario Draghi, perché sotto la sua sedia c'è una bomba atomica: premier travolto dal nucleare?
Il nuovo status di Draghi, sempre meno "super Mario" e ormai capo a tutti gli effetti di un governo arlecchino, si vede anche da questo: le ambiguità su cui tutti prima sorvolavano, ora non passano più inosservate. Sull'energia, ad esempio, nessuno ha mai capito quale sia la sua strategia, al di là della professione di fede nel dogma europeo della decarbonizzazione e di una sfilza di provvedimenti "tampone" che alleggeriscono il costo delle bollette, appesantendo il debito pubblico. Ne sa qualcosa Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica: ogni volta in cui ha fatto una timida apertura in favore del nucleare di quarta generazione (tecnologia che diventerà operativa tra vent' anni o forse più), l'ala giallorossa della maggioranza lo ha aggredito e il premier non ha speso una parola per difenderlo.
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Se prima, quando gli aumenti in bolletta apparivano sopportabili, fingere di non vedere era facile e comodo, adesso che il gas rincara del 42% e l'elettricità del 55% è impossibile voltarsi dall'altra parte. È stato Matteo Salvini a rompere l'incanto. Perché la grande discussione europea, in questi giorni, riguarda la "tassonomia verde", e innanzitutto il modo in cui deve essere catalogata l'energia nucleare: una fonte "green", meritevole di sopravvivere nella Ue che combatte la crociata contro la CO2, o una fonte inquinante, da condannare a morte più o meno rapida? Enrico Letta, l'altro giorno, ha ribadito la posizione del Pd: «Non ci piace la bozza di tassonomia verde che la Commissione Ue sta facendo circolare. L'inclusione del nucleare è per noi radicalmente sbagliata».
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Nulla di nuovo. La differenza l'ha fatta il capo della Lega. Dopo aver denunciato che «c'è un asse Pd-Cinque Stelle per frenare lo sviluppo del Paese e far pagare agli italiani le bollette più care d'Europa» e ricordato che «i reattori attivi nel mondo sono ormai ben 542, oltre cento solo in Europa, oltre cinquanta solo in Francia», ha posto la grande domanda: «Draghi con chi sta? Col passato o col futuro?». Avrebbe potuto aggiungere che importiamo dalla Francia il 10% dei chilowattora che consumiamo, e che la Francia produce l'80% della propria elettricità nei reattori atomici. Di fatto, al di là delle Alpi ci sono tre centrali nucleari che lavorano solo per noi: se fossero dichiarate inquinanti, un prezzo salatissimo lo pagherebbero anche le imprese e le famiglie italiane.
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Come la pensa Letta si sa: Draghi non ha nulla da dire? La stessa domanda, sul fronte opposto della maggioranza, gliel'ha fatta Giuseppe Conte, impegnato a trasformare il M5S in un movimento ancor più ecofondamentalista. «Nucleare e gas», ha detto l'ex premier al suo successore, «non aiutano l'Europa né sulla strada dell'indipendenza, né su quella della stabilità dei costi. Il governo italiano ne prenda atto e faccia sentire forte e chiara la propria voce in Europa. Noi non cambieremo posizione». Su una cosa Conte ha ragione, al pari di Salvini: basta vaghezze, in materia di energia il capo del governo deve parlare chiaro. Peccato che il nodo arrivi al pettine solo ora, quando Draghi ha ormai un piede fuori da palazzo Chigi.