Quirinale, elezione falsata dal Covid? “Cosa succederà dentro e fuori dall'Aula”, una crisi senza precedenti
Scenario A. Mario Draghi (oppure Silvio Berlusconi o chiunque altro) ottiene 500 voti al quarto scrutinio. Per diventare presidente della repubblica gliene sarebbero serviti 505. E fuori dall'aula, impossibilitati a votare a causa di un tampone positivo o perché sprovvisti di green pass, ci sono 60, o 100, o 120 "grandi elettori", almeno cinque dei quali avrebbero votato per lo sciagurato in questione. Una vittoria scippata dal Covid e dai protocolli anti-contagio. Tutto regolare? Scenario B. Durante una delle tante riunioni notturne che si terranno dal 24 gennaio, tra i parlamentari del M5S, della Lega o di un altro partito, un contagiato infetta buona parte dei colleghi. I quali, dall'indomani, non possono entrare in aula. Che si fa? Si prosegue comunque con le votazioni, anche se una forza che rappresenta un terzo o un quinto degli italiani è stata decimata? Sono solo alcuni degli scenari da incubo che turbano il presidente della Camera, Roberto Fico, chiamato ad ospitare l'assemblea dei 1.009, e il suo staff, inclusa la squadra di consulenti sanitari incaricata di consigliarlo su come limitare i danni del Covid. Con un occhio guardano le scadenze istituzionali, prima tra tutte quella del 3 febbraio, quando Sergio Mattarella, se non sarà stato eletto il suo successore, lascerà comunque l'incarico al presidente del Senato Elisabetta Casellati, facente funzioni di capo dello Stato. Con l'altro osservano la curva dei contagi. Fabrizio Pregliasco, in sintonia con altri virologi, prevede che «il picco si sposterà come minimo verso la fine di gennaio»: proprio in quei giorni lì. Rischia di avere ragione chi oggistima, a spanne, un centinaio di contagiati tra i grandi elettori.
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IL PREZZO DA PAGARE
Fico, ieri, l'ha presa alla larga: «Siamo al lavoro sulle misure per garantire la piena operatività e sicurezza del voto». Ha ripristinato alla Camera le regole di distanziamento già viste in passato, ma per il resto non è entrato nei dettagli, perché lui e i suoi non hanno ancora deciso cosa fare. Tantomeno se imporre il "green pass rafforzato", che ridurrebbe ulteriormente il numero dei presenti, o far svolgere le votazioni, in contemporanea, nei due rami del parlamento, come qualcuno propone. Ogni protocollo per contenere i contagi prevede comunque la quarantena e l'impossibilità di entrare nella sede di "lavoro", in questo caso il palazzo di Montecitorio. Il prezzo da pagare è quindi la limitazione della partecipazione al voto, la mutilazione della rappresentanza democratica. E poi ci sono i tempi. Il numero di voti necessario per essere eletti è calcolato sui membri totali dell'assemblea, non sui presenti. È una regola fissata dalla Costituzione. Articolo 83: «L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta». Ossia 673 voti nei primi tre scrutini e 505 dal quarto in poi. Più votanti mancano, più è lontano il traguardo. Il pericolo di andare per le lunghe, ben oltre il 3 febbraio, è reale. Né si può usare il rimedio adottato per le elezioni Comunali del 2021, che furono rinviate da maggio a ottobre, confidando nel calo dei contagi. Stavolta, infatti, la tabella di marcia è dettata dalla Costituzione. Articolo 85: «Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica». È ciò che ha fatto ieri Fico, inviando la lettera che dà appuntamento a tutti alle ore 15 del 24 gennaio. In tempo, teoricamente, per eleggere il nuovo capo dello Stato prima che il mandato di Mattarella scada. Quel giorno, dunque, bisognerà comunque partire. Ciò che avverrà da lì in poi, però, dipenderà dal virus. Chi ne ha parlato con Fico spiega che «spetterà alla sensibilità dei presidenti delle Camere, ascoltati i consulenti sanitari, capire quando potrà essere convocata la seduta successiva». Tradotto: non è detto che si terrà una votazione al giorno. Fico e Casellati (almeno finché costei non dovrà traslocare a palazzo Giustiniani per supplire a Mattarella, poi toccherà al suo vicario, Roberto Calderoli), potranno decidere di far svolgere la votazione successiva non l'indomani, ma a distanza di alcuni giorni, sperando che intanto cali il numero dei contagiati. E i tempi si allungherebbero ancora di più.
CAMBIARE LE REGOLE
Oltre a una lesione della democrazia, insomma, si rischia il pantano. Nel quale sperano tutti coloro, dentro il M5S e altrove, che tifano per il "Mattarella bis" e il congelamento di Draghi a palazzo Chigi: la soluzione più semplice in caso di emergenza, perché già pronta. Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd, chiede invece di «assicurare il voto di tutti gli aventi diritto, perché altrimenti si rischia una rappresentatività ridotta e un innalzamento surrettizio dei quorum». Quindi avverte Fico che «non bisogna dare per immodificabili le regole, ma riservarsi di affinarle man mano, sulla base dell'evoluzione della pandemia». Che significa? Ad esempio l'introduzione del voto a distanza, proposta ieri da un altro deputato del Pd, Walter Verini. Improponibile, a sentire gli uffici di Fico: «Nelle riunioni dei capigruppo più drammatiche, quelle di marzo e aprile del 2020, la possibilità di far votare i parlamentari da remoto fu scartata. Davvero si pensa di farlo adesso, per un'elezione così importante? L'ipotesi, al momento, è oltre la fantasia». Al momento, appunto. A fine mese, chissà.