Stefano Cingolani, il primo ministro pronto a mollare Mario Draghi? "Ora non c'è più bisogno di me"
C'è un effetto collaterale del suo discorso di fine anno che forse Mario Draghi non aveva previsto. Se lui, tecnico, chiamato a tracciare la strada per la ripresa del Paese, non è più indispensabile una volta impostato il lavoro, perché gli altri tecnici, anch' essi chiamati per lo stesso motivo, dovrebbero restare al loro posto? Sarà un caso, ma le parole con cui ieri Roberto Cingolani ha dichiarato compiuta la sua missione ed esaurito il suo compito somigliano tanto a quelle del premier. «Abbiamo centrato gli obiettivi posti da Draghi prima del compimento dell'anno. Ora c'è un problema di implementazione. E questa fase non ha bisogno di uno con il mio profilo», ha detto il ministro in un'intervista a Staffetta Quotidiana, una testata iperspecializzata sui temi dell'energia che però, questa volta, ha lanciato una bomba tutta politica.
Certo, dietro le frasi del titolare della Transizione ecologica si può anche leggere un disagio personale per essere finito alla guida di un dicastero che avrebbe dovuto occuparsi di scienza, tecnologia e innovazione e che invece ogni due per tre finisce travolto dalle campagne ideologiche di ambientalisti e grillini che vivono la rivoluzione verde come un percorso di ascesa mistica i cui dogmi sono scritti nella pietra e non discutibili. Hai voglia a spiegare che la transizione è lunga e costosa, che bisogna procedere per piccoli passi, che il nucleare di nuova generazione potrebbe aiutare, così come il gas che teniamo inutilizzato sotto i nostri piedi. Più Cingolani insiste con il pragmatismo e il buon senso, più lo accusano di essere l'amico del giaguaro, l'infiltrato degli inquinatori nel tempio dell'ecologia, il traditore della causa.
TOGLIERE LE TENDE
Lui finora è andato avanti con sopportazione e spirito di servizio. Senza mai far intendere di volere mollare. Ma a chi lo conosce continua a ripetere di non essere un politico e di non volerlo neanche diventare. Insomma, il fisico preso in prestito da Leonardo un po' rimpiange il suo lavoro da manager. E di fronte a quelle frasi di Draghi sul «mandato realizzato» e sul governo che «può andare avanti chiunque lo guidi» anche lui può aver pensato, legittimamente, che sia venuto il momento di togliere le tende. È un po' bizzarro che a registrare la voglia di lasciare, o comunque la consapevolezza di non essere più necessario, sia una testata che ha deciso di incoronarlo uomo dell'anno per i target raggiunti. Ma anche qui l'analogia con il premier è plateale: più viene celebrato per i suoi risultati, più Draghi si sente in diritto di dire che il suo lavoro a Palazzo Chigi è finito. Lo stesso Cingolani. I compiti assegnati dal presidente del Consiglio erano sostanzialmente tre: «Scrivere il Pnrr, o almeno contribuire pesantemente visto che la transizione ecologica è centrale per il successo del piano, per la sua approvazione, per il suo finanziamento e perla bella figura dell'Italia». Questa missione, spiega il ministro, «credo sia andata bene. So come scrivere un programma tecnico e ho un'esperienza manageriale che mi è stata molto utile».
OBIETTIVI RAGGIUNTI
L'obiettivo numero due era costruire la struttura ministeriale. E anche qui, prosegue, «la capacità organizzativa e manageriale è stata utile. Quando sono arrivato il ministero aveva un bilancio annuale di 1,2-1,3 miliardi, quasi tutte spese fisse. Oggi, e per i prossimi 5 anni, il bilancio è da 16-17 miliardi. Siamo diventati più simili a una società quotata». Terzo traguardo: le semplificazioni. «Abbiamo fatto tutto da febbraio a dicembre», dice, «si poteva essere più veloci, ma come risultato non è male». In aggiunta, Cingolani si vanta anche di aver portato a casa il G20 («un successo globale che ci è stato riconosciuto in tutto il mondo») e la Cop26. In altre parole, tutto fatto. E ora? Qui non si tratta solo di Cingolani, che potrebbe uscire di scena proprio mentre c'è da fronteggiare una devastante crisi energetica che sta mettendo in ginocchio famiglie e imprese. Ma dell'intero esecutivo, che di qui a un mese, quando si capirà con più chiarezza come finirà la partita del Quirinale, potrebbe perdere pezzi importanti, dall'Innovazione, alle Infrastrutture, dalla Giustizia all'Economia. Se tutti i tecnici, una volta uscito il committente Draghi, dovessero seguire l'esempio di Cingolani, si scatenerebbe tra i partiti una corsa alle poltrone che farebbe velocemente andare in frantumi il disegno del premier di tenere tutto insieme: lui al Quirinale e un governo sostanzialmente fotocopia a Palazzo Chigi, in grado di completare l'opera avviata con gli stessi uomini e la stessa maggioranza.