Enrico Letta e Pd? "Pronti ad uscire dal governo": Quirinale, il ricatto della sinistra a Silvio Berlusconi
Non era mai successo che Enrico Letta mettesse d'accordo l'ala sinistra e quella destra del Pd. C'è riuscito, per la prima volta, con la sua idea di uscire dall'aula durante le votazioni per il presidente della repubblica, nel caso in cui il centrodestra dovesse ufficializzare la candidatura di Silvio Berlusconi. Dal lato sinistro, il ministro del Lavoro Andrea Orlando gli ha spiegato che non ci si può dichiarare assenti mentre si vota il capo dello Stato (ed è difficile dargli torto). Dal lato destro, Andrea Marcucci, capo della minoranza del Pd, ha detto che «Berlusconi, se vorrà, ha il diritto di provarci» e che in quel caso «certamente noi di centrosinistra non usciremo dall'aula, come qualcuno», ossia il segretario, «ha maldestramente ipotizzato». Eppure, l'Aventino non è l'unica arma "non convenzionale" cui sta pensando Letta.
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Al Nazareno stanno valutando di impugnarne una ancora più estrema, nell'ipotesi in cui il Cavaliere riesca davvero ad ottenere, dalla quarta votazione in poi, i 505 voti necessari a salire sul Colle: l'uscita del Pd dalla maggioranza e dunque la fine del governo. L'equivalente di un ordigno atomico sganciato sulla legislatura, che a quel punto potrebbe dirsi conclusa. «Se fosse eletto Berlusconi, Letta sarebbe pronto a tutto pur di mostrare una reazione forte», avverte chi gli ha parlato prima di Natale. La scelta non potrà essere adottata a cuor leggero né prima del dovuto, ma la minaccia è già stata spedita.
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Ed anch' essa rappresenta un'arma. Il bersaglio sono i molti parlamentari del gruppo misto e gli altri che popolano la vasta terra di mezzo tra i due poli, oltre ai Cinque Stelle sordi alle disposizioni di Giuseppe Conte (e sono tanti), tra i quali il Cavaliere è convinto di pescare consensi. Sappiate che se votate per lui, dice l'avvertimento inviato dai vertici del Pd, cade il governo e con esso la legislatura. Numeri alla mano, l'uscita del partito di Letta dalla maggioranza e la fine del governo non comporterebbero necessariamente le elezioni anticipate, e lo dimostra il fatto che i democratici sono già stati all'opposizione durante il governo gialloverde. Tutti i parlamentari sanno, però, che trovare i pezzi necessari a mettere insieme una nuova coalizione sarebbe impresa ai confini dell'impossibile. È un rischio che lo stesso Draghi ha presente. Era anche a questo che si riferiva nella conferenza stampa di fine anno, quando ha chiesto se «è immaginabile una maggioranza che si spacchi sull'elezione del presidente della repubblica e poi si ricomponga magicamente quando è il momento di sostenere il governo». Domanda retorica, la risposta è "no", vista anche la possibile reazione di Letta, di cui il presidente del consiglio era stato informato da alcuni ministri del Pd. Resta da capire se esistano candidati per il Quirinale capaci di non spaccare la maggioranza di governo, e se tra questi ci sia Draghi.