«Non abbiamo percepito alcuna freddezza, tutt' altro. Del resto non c'era nulla su cui esprimersi, visto che il presidente non si è candidato a nulla. Ha solo espresso alcune valutazioni, suggerendo un criterio rispetto all'elezione del prossimo presidente della Repubblica». Il giorno dopo la conferenza stampa di fine anno, a Palazzo Chigi si minimizza decisamente la reazione dei partiti (poco entusiasta) rispetto all'ipotesi di un passaggio di Mario Draghi dal governo alla presidenza della Repubblica. La giornata inizia volando alto: il Financial Times pubblica una lettera congiunta, firmata da Draghi e da Emmanuel Macron, sui cambiamenti che l'Ue deve intraprendere: «Le regole di bilancio dell'Ue», è il titolo, «devono essere riformate se vogliamo garantire la ripresa». Si fa riferimento al patto di stabilità e a una serie di regole non più in linea coi tempi.
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Per il resto, a Palazzo Chigi si assiste con distacco al dibattito suscitato dalle parole pronunciate il giorno prima dal premier. È che, lasciano intendere, Draghi lo aveva messo in conto. Più che candidarsi, ha indicato un criterio: chiunque si scelga per il Quirinale, è bene che a eleggerlo sia la stessa (o più ampia) maggioranza che sostiene il governo. Se no, si sfascia tutto. Il messaggio che Draghi ha voluto dare è questo: sarebbe meglio, cari partiti, evitare che il prossimo presidente della Repubblica sia eletto da una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo perché, se no, il rischio è che il giorno dopo imploda la maggioranza che sostiene l'esecutivo. E con il Pnrr da attuare, sarebbe un disastro per il Paese. Dunque, se trovate un nome, diverso dal mio, che mantenga l'unità nazionale, tanto meglio. «Il Presidente è ben contento di restare a Palazzo Chigi», si dice. Ma se il nome di Draghi fosse l'unico che conserva la quasi unità nazionale, l'interessato non si sottrarrebbe. Rispetto a questo suggerimento, si nota in ambienti vicini al premier, l'unico che ha preso le distanze è stato Matteo Renzi. In una intervista a Repubblica il leader di Iv ha spiegato che non è detto che la maggioranza dil governo debba coincidere con quella che elegge l'inquilino del Colle.
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Una posizione che in molti spiegano con il fatto se si creasse una larghissima maggioranza attorno a un nome per il Colle, Italia Viva non sarebbe decisiva. Dunque? La palla ora passa ai partiti. Se, da qui all'Epifania, troveranno un accordo su un nome condiviso a larga maggioranza, bene. Se no, saranno loro a chiedere a Draghi la disponibilità per essere eletto. A meno che non intervenga la variabile Berlusconi: ossia se una parte, il centrodestra, non decida di puntare davvero sul Cav, aspettando il quarto scrutinio per eleggere il federatore del centrodestra. A quel punto, difficilmente Draghi potrebbe dimettersi o protestare.