Giorgio Napolitano, la vergogna svelata: "Troppo ben vestiti? Verificate il reddito". Quando il comunista alla Scala...
Ah la prima della Scala. Quanta invidia, quanta voglia di precipitarsi lì con il lanciafiamme. I comunisti quando ancora erano comunisti hanno costantemente individuato negli spettatori della soirée per eccellenza il nucleo duro del nemico di classe. C'era un signore a guidare il drappello dei compagni all'assalto dell'immoralità scaligera. Si chiamava Giorgio Napolitano. Non prevedeva che di lì a qualche anno si sarebbe pavoneggiato sul palco reale benedicendo in smoking, papillon e sciarpa di seta nivea, la platea di pellicce purtroppo ormai sintetiche. Sine ira nec studio, diremmo anzi con affettuosa nostalgia, riproponiamo qui l'epica battaglia a Montecitorio del giovane ma già glorioso leader comunista contro quella ammucchiata satanica di gioielli succhiati dai vampiri capitalisti ai lavoratori. Gli archivi digitali della Camera illuminano mondi favolosi e perduti.
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Alla voce Napolitano Giorgio si legge: «Era sabato, quel 20 maggio 1961. Quel dì l'aula non era presieduta da Giovanni Leone, per cui ci siamo persi senz' altro qualcosa, ma dal'austero vice Paolo Rossi, che poi negli anni '70 sarà presidente della Corte Costituzionale. La seduta si apre alle 11. Rossi annuncia l'interrogazione degli onorevoli Napolitano, Faletra e Alicata, al ministro delle finanze. Eccone il testo: «Per conoscere quali risultati si sia proposto di ottenere e stia di fatto ottenendo con la circolare diramata, all'indomani dello spettacolo inaugurale della stagione lirica alla Scala di Milano, per la verifica della posizione di contribuenti che si producono in così vistose esibizioni di sperpero e lusso; e per conoscere se fosse necessario attendere la prima della Scala e le reazioni di una parte dell'opinione pubblica e degli organi di stampa, per accorgersi che vi sono alti redditi e sfrenati consumi voluttuari - vero insulto alla miseria di tanta parte del popolo italiano - da colpire con severe ed efficienti misure fiscali».
Sperpero, lusso, sfrenati consumi, insulto alla miseria. In realtà l'inaugurazione della stagione operistica del 1960, che aveva in cartellone il Poliuto di Gaetano Donizetti, opera rarissima, è passata alla storia per il trionfo di una sublime Maria Callas. Il contorno? Era l'anno del boom, gioielli e abiti firmati, quel che poi farà la fortuna di Milano, l'Unità e la stampa di sinistra si stracciano le vesti. Chiedono: verificate se i riccastri pagano le tasse. Il ministero emanò dopo tre giorni una circolare per dire: controlleremo se c'è corrispondenza tra tenore di vita e reddito accertato. Il sottosegretario alle finanze Michele Troisi, da accademico di diritto qual è, risponde spiegando come funzionano gli accertamenti. E che tutto è stato fatto come si deve. Ma avverte: occorre «prudenza». Un vestito di lusso non per forza vuol dire alti redditi, c'è anche chi spende e spande ma consuma il patrimonio di famiglia. E poi tira il colpo anti-comunista: «L'amministrazione finanziaria non deve e non può trasformare lo strumento fiscale in uno strumento di persecuzione».
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Torniamo però in aula. Napolitano davanti a questa puntuta risposta del democristiano Troisi (qui non perseguitiamo nessuno, tanto meno perché usa i suoi soldi come gli pare) si indigna profondamente. Accusa Troisi di «demagogia ministeriale» con la sua circolare fatta «per salvare la faccia del governo». Troisi lo interrompe: «Respingo nettamente questa affermazione». Niente da fare. Napolitano è una furia. La circolare è «sconfortante» e la sua «efficacia estremamente dubbia». Anzi interpreta il discorso del sottosegretario come «un mettere le mani avanti» perché i riccastri la faranno franca e permarranno «gravissime sperequazioni». Troisi signorilmente ironico lo invita a evitare profezie: «A suo tempo ella potrà consultare i famosi elenchi dei contribuenti della provincia di Milano e quindi potrà constatare gli aumenti di accertamento intervenuti . Occorre aver pazienza». Napolitano rintuzza Troisi impugnando metaforicamente rotocalchi come pistole fumanti del delitto. «Sono rimasto colpito, sfogliando in quei giorni i rotocalchi italiani che riprodussero con tanta dovizia di fotografie e di colori i protagonisti di quella soirée, che moltissime di quelle fotografie portassero sotto la dicitura: "Latale è figlia del noto industriale di Legnano", "Questa è la figlia del noto industriale di Busto Arsizio".
Non so se la cosa potesse essere intesa come pubblicità per quella azienda, ma l'origine non è affatto misteriosa. Si tratta di alti redditi di capitale, di alti profitti industriali, finanziari, che danno luogo, non essendo colpiti nella misura in cui dovrebbero dal nostro sistema fiscale, a queste manifestazioni di sperpero e di lusso sfrenato». Manca solo l0indirizzo della tal figlia del cummenda, identificata come insulto vivente alla miseria, vera e propria icona di nequizia, da sottoporre ad «opera di giustizia e risanamento». A questo provvederanno negli anni 70 compagni che sbagliavano. Poi deve aver cambiato idea sulla Scala e sulla qualità dei tessuti che offendono i poveri, e meno male. Ma rispetto a quei tempi, anche in questa première 2021, allorché i ministri e i sindaci della sinistra esibiscono roba firmatissima e le loro compagne pure, ci viene il sospetto che un medesimo senso ultimo della politica accomuni il giovane Napolitano e il giovane Letta. Lo si è visto nella recente dialettica all'interno del governo Draghi, con il Pd, Leu e M5S a chiedere di strizzare il ceto medio-alto: più tasse, più tasse, patrimonialina e patrimonialona.