Matteo Renzi, il passo indietro "per comandare": gli 80 grandi elettori che decidono la partita Quirinale
«Costruiamo un partito che rappresenti le idee che il governo Draghi sta portando avanti». L'invito lanciato domenica, durante un convegno, dal capo dei senatori renziani Davide Faraone a Gaetano Quagliariello e agli altri del partito di Giovanni Toti, aveva fatto capire che al centro stava per nascere qualcosa di nuovo. Matteo Renzi, Toti e gli altri era da un po' che ne parlavano. Non proprio (non ancora) per creare un partito insieme, perché le differenze ci sono e restano, ma per iniziare a fare squadra in modo da presentarsi uniti il 20 gennaio, quando si inizierà a votare per eleggere il successore di Sergio Mattarella. I parlamentari intruppati con l'ex sindaco di Firenze sono 41 (al netto di un paio di senatori che presto se ne andranno); quelli di Coraggio Italia, la sigla che fa capo a Toti e al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, sono 30.
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Settantuno in tutto, dunque, cui vanno aggiunti i rappresentanti della regione Liguria, governata da Toti, un altro dalla Sardegna e magari qualche esponente della minoranza Pd in rotta con Enrico Letta e recalcitrante all'idea di finire nell'abbraccio di Carlo Calenda. Una massa d'urto di un'ottantina di "grandi elettori": quanti ne bastano, se schierati bene, per essere decisivi nella scelta del prossimo capo dello Stato. Insomma, la convenienza ad aggregarsi è altissima, vista anche la distanza che ormai separa Italia viva dal resto della sinistra. C'era solo un ostacolo: Renzi stesso. L'uomo disfa le trame con la stessa facilità con cui le tesse e non si fa problemi a mollare in un istante coloro con cui è stato alleato per mesi (per ulteriori dettagli, citofonare Conte). Soprattutto, con lui leader, l'intera operazione sarebbe apparsa come l'ennesima esibizione del giocoliere fiorentino, federatore (e fagocitatore) del nuovo centro italiano.
LA SOLUZIONE
Il problema l'ha risolto Renzi stesso, facendosi da parte. «Sono disposto a non guidarla, a fare un passo di lato», ha detto giovedì a Toti e agli altri. Sono state le parole che hanno sbloccato tutto. Così ora l'ex forzista Paolo Romani, uno di quelli che hanno lavorato all'intesa, spiega a Libero che «l'aggregazione è stata pensata per avere una leadership plurale. Ci sarà un gruppo di persone che hanno una notevole visibilità politica, affiancato da altri che stanno lavorando al progetto». I nomi da mandare dinanzi alle telecamere non mancano: Renzi, Toti, Faraone, Romani, Quagliariello, Brugnaro (se ci sarà: lui e suoi fedelissimi, un gruppetto di deputati ex grillini, sono al momento in fase di "riflessione"), il deputato ed ex campione olimpico Marco Marin. I tempi sono stretti, il primo passo sarà fatto la prossima settimana.
L'ipotesi minimale è iniziare con una manifestazione congiunta, quella più ardita la nascita immediata di un gruppo unico al Senato, dove Renzi sta perdendo pezzi e Coraggio Italia, con 8 senatori, non ha i numeri per fare un gruppo proprio. In ogni caso ci sarà un "patto di consultazione" prima di qualunque decisione, con enfasi particolare sull'elezione del presidente della repubblica. Non una buona notizia per Enrico Letta, che a poche settimane dalla sfida più importante vede nascere un raggruppamento di certo più distante da lui di quanto non lo sia dal centrodestra. Se la cosa funzionerà, l'intesa si allargherà a tutto ciò che consegue l'elezione del capo dello Stato. «La legislatura deve proseguire, c'è da pensare a una nuova legge elettorale e il nostro Paese è atteso dall'impegno straordinario del Pnrr», elenca Romani. All'orizzonte, quella federazione di centro di cui si parla da anni e che non è mai decollata. Toti ha subito assicurato che quella organizzata da lui e Renzi «non è una cosa che va contro gli interessi del centrodestra». È un modo per dire che non si tratta di una operazione contro Matteo Salvini, il quale ne era al corrente e non ha fatto nulla per ostacolarla, consapevole del fatto che i suoi elettori difficilmente lo lascerebbero per votare una sigla di centro. In pubblico, interpellato sulla novità, il leader leghista si è limitato ad un laconico: «Auguri».
BRUNETTA E CARFAGNA
Discorso diverso per Calenda, che è fuori dal progetto, e per Forza Italia. La nuova aggregazione guarda con interesse a Renato Brunetta e Mara Carfagna: oggi ministri del governo Draghi in quota Forza Italia; tra qualche mese, a elezione del presidente della repubblica conclusa, chissà. Le porte sono aperte. «Non è una fusione a freddo tra due forze, il nostro è un appello erga omnes», spiega Quagliariello. «C'è un'area politica e culturale che ha sfumature diverse al suo interno, ma condivide gli stessi obiettivi, sia immediati sia di lunga scadenza. Non provare a dialogare e a collaborare sarebbe per noi un suicidio politico e significherebbe condannare alla marginalità una parte importante del Paese».