Anna Finocchiaro usata come "un'esca". Retroscena-Quirinale: così Enrico Letta gioca sporco (e si "suicida")
Anna Finocchiaro, come possibile "esca" per il centrodestra. Ma anche Rosy Bindi, che ha caratteristiche del tutto diverse e sarebbe semmai la candidata identitaria del nuovo Ulivo. È a una di loro due che pensa il ministro Andrea Orlando, quando dice di ritenere «molto auspicabile la possibilità di una donna al Quirinale». In subordine Paolo Gentiloni, che però dovrebbe lasciare la Commissione europea, liberando un posto che difficilmente, a quel punto, il Pd potrebbe reclamare. Mentre Giuliano Amato, che pure piace a Enrico Letta e a suo zio Gianni, non riesce a scaldare i cuori a sinistra, figuriamoci in casa di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Sono questi i nomi su cui il capo dei democratici sta sondando gli altri partiti. Con scarsi risultati, sinora. In comune hanno l'appartenenza: su tutti è impressa l'etichetta del Pd. La stessa che avevano Sergio Mattarella e il suo predecessore, Giorgio Napolitano. Segno che al Nazareno non intendono mollare la presidenza della repubblica. Il terzo di fila, però, sarebbe troppo. Soprattutto in un momento come questo, col Pd che conta appena il 14% dei parlamentari in carica.
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Eppure, quando affronta l'argomento in pubblico, Letta dice tutte le cose giuste. Chiede «un'elezione a larga maggioranza», spiegando che altrimenti il governo «cadrebbe immediatamente», e così lascia intendere di voler anteporre l'interesse dell'Italia a quello della "ditta". Parole da statista. È nei colloqui privati con gli esponenti degli altri partiti che viene fuori un Letta diverso, incapace di proporre un nome non appartenente alla solita nomenclatura rossa. Il segretario del Pd ha capito che deve iniziare a tessere, se non vuole trovarsi costretto a giocare in difesa. Aveva puntato sul bis di Mattarella, ma il capo dello Stato ha ripetuto urbi et orbi di non avere interesse per un nuovo mandato. Quindi Letta ha accarezzato l'ipotesi suggeritagli da Goffredo Bettini: puntare su Mario Draghi per ottenere lo scioglimento anticipato delle Camere e il voto nella prossima primavera. Ma né i suoi alleati grillini, né i rivali della Lega, sono disposti a seguirlo: Draghi, per loro, deve restare dov' è. Intanto l'attivissimo Silvio Berlusconi contatta personalmente i parlamentari di centro e senza bandiera, che sono più di cento e saranno decisivi negli scrutini segreti.
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E Matteo Renzi, assieme alla cinquantina di senatori e deputati che lo seguono, gioca ormai in proprio, sganciato dalla sinistra e tentato da un'intesa col centrodestra. Una tenaglia da cui il Pd rischia di uscire a pezzi. Motivo per cui il senatore Andrea Marcucci, esponente della minoranza piddina, ieri ha chiesto al segretario di «uscire dal suo splendido isolamento» e trovare una strategia. «Draghi deve restare a Palazzo Chigi? Letta lo dica con chiarezza. Il Pd non può essere costantemente superato dagli eventi». Il leader dei democratici, in realtà, i primi passi li ha fatti. Solo che i nomi da lui prospettati sono apparsi subito deboli e hanno lasciato i suoi interlocutori perplessi. La Bindi sconta un curriculum non all'altezza: mai stata presidente del Consiglio o di una delle due Camere, mai ministro di un dicastero di prima fascia. Soprattutto, invisa com' è al centrodestra a causa dei suoi atteggiamenti passati, sarebbe il candidato dell'arroccamento, non certo quello che può garantire la «elezione a grande maggioranza».
Meglio, almeno sotto l'aspetto politico, la Finocchiaro, che conta amicizie ed estimatori anche sul fronte opposto. Il suo nome era già girato sette anni fa, quando la corsa della senatrice fu fermata dalle disavventure giudiziarie del marito, Fidelbo Melchiorre. Il quale, però, nel 2018 è stato assolto in appello, dopo una condanna in primo grado per abuso d'ufficio. Ma difficilmente sarà lei il nome col quale Letta riuscirà a fare breccia nel centrodestra. Di certo, gli esponenti leghisti ai quali è stato chiesto cosa pensassero della siciliana ex ministra del governo Prodi sono rimasti freddi. Alto mare, insomma. E tutti i nomi usciti sinora dalle labbra di Letta hanno lo stesso difetto: sono espressione del suo partito, che negli ultimi anni ha fatto man bassa delle cariche istituzionali. E poi un capo dello Stato di sinistra tende a nominare giudici costituzionali di sinistra, senatori a vita di sinistra e così via. Servirà ben altro. «Letta dovrebbe rinunciare a uno dei suoi e pescare un nome vicino al centrodestra», chiosa un senatore centrista già contattato dagli uomini del Nazareno. Ma chissà se il segretario del Pd ha la forza e il coraggio di farlo.