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Interpol, un torturatore il nuovo capo? Chi è quest'uomo, chi lo ha voluto, quali milioni ci sono dietro di lui

Mauro Zanon
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 «Nel giro di vent' anni, l'Interpol è diventata una delle armi preferite dei regimi autoritari per perseguitare i loro oppositori in giro per il mondo», scriveva nel suo editoriale di martedì il direttore di Libération, DovAlfon. E la situazione rischia di peggiorare ora che alla presidenza della più importante organizzazione internazionale della polizia criminale è stato eletto l'emiratino Ahmed Naser al Raisi, nominato nel 2015 ispettore generale del ministero dell'Interno degli Emirati Arabi Uniti dopo aver scalato tutte le gerarchie dei servizi di sicurezza del paese del Golfo, e oggetto di molteplici denunce per tortura. Non sono bastate le proteste di alcuni parlamentari in Francia e in Germania e delle associazioni che lottano per salvaguardia dei diritti umani, e non è bastata la candidatura della superpoliziotta ceca Sárka Havránková, la più gradita all'Unione europea, vicepresidente uscente dell'Interpol e capa della polizia della Repubblica Ceca (la sua carriera è iniziata sulle tracce del pedofilo belga Marc Dutroux): ieri, a Istanbul, dopo tre giorni di assemblea generale, la 89esima della storia dell'istituzione fondata nel 1923 a Vienna, ha trionfato Raisi, che andrà a sostituire il coreano Kim Jong-Yang (quest' ultimo, aveva preso il posto del suo ex capo, il cinese Meng Hongwei, scomparso nel nulla nel 2018, dopo essere stato arrestato e accusato di corruzione da Pechino).

 

 

LE DENUNCE
L'alto funzionario emiratino sarà dunque il presidente di un'agenzia che raggruppa le polizie di 195 Paesi, pur essendo diventato negli Emirati Arabi Uniti il volto di una politica ultarepressiva contro qualsiasi voce discordante e in totale contraddizione con la difesa dei diritti umani di cui l'Interpol dovrebbe essere l'incarnazione. Su Raisi, pendono denunce penali in cinque Paesi, tra cui la Francia, dove ha sede l'istituzione (a Lione), e la Turchia, dove si è tenuta l'assemblea generale. Per alcune critiche al regime dello sceicco Khalifa bin Zayed postate su internet, il blogger emiratino Ahmed Mansour è imprigionato da cinque anni ad Abu Dhabi in una cellula di 4 metri quadrati, dove subisce le peggiori sevizie, con l'accusa di aver «minacciato l'ordine pubblico» e diffuso «false informazioni», secondo quanto denunciato da William Bourdon, l'avvocato parigino incaricato dalla ong Gulf Center for Human Rights di difenderlo (la prima denuncia è stata sporta a giugno).

Lunedì, anche i legali di Matthew Hedges e Ali Issa Ahmad, i due cittadini britannici che tra il 2018 e il 2019 sono stati torturati dalla polizia del Paese del Golfo, hanno presentato una denuncia alle autorità turche. «Per due giorni non mi hanno permesso di dormire e bere, ho subìto torture fisiche e psicologiche», ha dichiarato Ali Issa Ahmad, arrestato mentre era in vacanza negli Emirati per aver indossato una maglietta della nazionale del Qatar. Matthew Hedges, accusato di "spionaggio", ha trascorso sette mesi in regime di isolamento negli Emirati, durante i quali è stato torturato e forzato ad assumere farmaci da cui è tuttora dipendente (è stato liberato al termine di un ruvido confronto diplomatico tra Londra e Abu Dhabi).

 

 

GLI AVVISI ROSSI
Raisi è sotto attacco da anni anche per l'abuso dei cosiddetti avvisi rossi, emessi in quanto parte del comitato esecutivo dell'Interpol, attraverso i quali dà la caccia ai dissidenti sparsi per il mondo. Assieme a lui, ieri, un'altra figura contro cui i gruppi di tutela dei diritti umani hanno alzato la voce, il cinese Hu Binchen, è stato nominato in un posto chiave dell'Interpol: è entrato infatti nel comitato esecutivo dell'organizzazione. Alto funzionario del ministero della Pubblica sicurezza cinese, l'apparato repressivo che il regime di Pechino utilizza come scure sui dissidenti, Hu Binchen è stato recentemente preso di mira da una lettera firmata da 50 parlamentari di 20 Paesi dell'Inter-Parliamentary Alliance on China.

La sua elezione, avevano scritto, «metterebbe ancora più a rischio le decine di migliaia di dissidenti di Hong Kong, uiguri, tibetani, taiwanesi e cinesi che vivono all'estero». Ma anche in questo caso, le proteste non hanno avuto alcun effetto. C'è poi la questione altrettanto scottante del silenzio del governo macronista sulla candidatura di Raisi. Nel 2016, da Abu Dhabi, sono arrivati 50 milioni di euro nelle casse dell'Interpol: contributo che ha reso gli Emirati Arabi Uniti «il secondo più grande finanziatore dell'organizzazione dopo gli Stati Uniti», ha dichiarato il deputato francese Hubert Julien-Laferrière. Quest' ultimo, ha sollecitato più volte il governo centrale sulla candidatura di Raisi. Secondo le informazioni di Rfi, la risposta sarebbe stata la seguente: nessun elemento conferma le torture di cui è sospettato e tutte le candidature devono essere prese in considerazione. Per il deputato francese, dietro questa risposta, si nascondono interessi strategici e finanziari: «La Francia vende molte armi agli Emirati e non chiede nulla sui diritti umani».

 

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