Super green pass, i dubbi di Salvini e Giorgetti: nel mirino i talebani del governo
Da quando gli azzurri di Mancini hanno iniziato a somigliare a quelli di Ventura, che vennero eliminati dal Mondiale prima di parteciparvi, sparare su Salvini è tornato a essere il nuovo sport nazionale. Ieri il leader della Lega ha sollevato legittimi dubbi sulla decisione del governo di vietare ai non vaccinati di andare al ristorante o in palestra, anche se tamponati e negativi, poi però l’ha fatta votare ai suoi ministri. Di conseguenza, si è guadagnato sia le critiche dei sì vax, che lo accusano di indebolire la spinta dell’esecutivo verso l’immunizzazione di massa e di speculare politicamente sulle paure che la gente nutre nei confronti dell'iniezione, sia quelle dei no vax, che gli rimproverano di darle tutte vinte a Draghi e di non tenere alta la bandiera leghista al governo. A complicare la lettura delle scelte dell'ex ministro dell'Interno ci sono poi le posizioni dei governatori del Nord. Gli amministratori territoriali sono tutti schierati per la linea dura e per un aumento delle restrizioni anti-Covid, al punto da dare l'impressione che la Lega sia divisa sul virus e che il capitano sia, per una volta, costretto a inseguire i suoi colonnelli.
REALTÀ COMPLESSA
La realtà è però un'altra, e ben più complessa. Il Paese è diviso come non si ricordava da tempo tra vaccinati e non vaccinati. Si assiste a una sorta di guerra di religione, dovuta al fatto che la pandemia ha lasciato ferite profonde in tutti i cittadini, tuttora molto spaventati, dal ricordo di quanto accaduto e dal timore che si ripeta. La tensione sociale è al massimo. Ci sono politici, anche del governo, che hanno atteggiamenti talebani. Non si limitano ad avere una posizione, legittima, a favore delle restrizioni per i non vaccinati, ritenendo che esse siano fondamentali per mantenere il Paese aperto. Arrivano perfino a ostentare una certa sadica soddisfazione per la progressiva ghettizzazione di chi non si vuole immunizzare; senza però assumersi il coraggio di imporre l'obbligo di siringa. Salvini, come testimoniato dalla nota del super ministro leghista Giorgetti, che ha sottolineato le «perplessità» del partito per il giro di vite nelle zone bianche, non partecipa al gioco al massacro che punta a criminalizzare i no vax, persuaso che la divisione del Paese non aiuti a superare la pandemia, anzi ne complichi la strada per l'uscita. Il gioco dei suoi avversari è chiaro: spaccare l'Italia sul Covid per spaccare la Lega in particolare e il centrodestra in generale.
TENAGLIA
Il capo del Carroccio cerca di sottrarsi a questa tenaglia e al tentativo di fare della lotta al virus una questione ideologica e politica. Prova a rappresentare non solo i diritti dei vaccinati, che tutela sostenendo i provvedimenti del governo, ma anche quelli dei non vaccinati, che non devono sentirsi cittadini di serie B perché esercitano un diritto che lo Stato gli riconosce. Nel presentare i provvedimenti restrittivi, il premier Draghi ha auspicato che il Paese non si divida, ma è una pretesa simile a quella di chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Salvini, che è a capo del partito che più in Italia è radicato nel territorio, conosce come sulla vaccinazione si arrivi a divisioni perfino nelle famiglie, non solo nei partiti o nei luoghi di lavoro, e prova a tenere una posizione che dia dignità a tutti e al contempo contenga il contagio. Se alla fine della storia sarà ancora unito, il merito andrà più a lui, Meloni e Berlusconi che a quanti hanno bisogno di battezzarsi democratici per farsi chiamare tali ma si comportano come se avessero il monopolio della democrazia: una contraddizione in termini di cui il Pd soffre da quando si è scelto questo surreale e ingannevole nome.