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Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, il patto "anti-toghe": perché per il Cavaliere il Quirinale è più vicino

Fausto Carioti
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Nella partita per il Quirinale c'è un elemento del quale sinora si è parlato poco, ma il cui peso è destinato a crescere: il "fattore Giustizia". Riassumibile in una domanda: che rapporto dovrà avere il prossimo capo dello Stato, nonché presidente del Csm, con la corporazione dei magistrati e il sistema giudiziario? A sinistra lo stanno mettendo sulla bilancia adesso, e il motivo è chiaro: hanno capito che la candidatura di Silvio Berlusconi, che pareva un racconto di fantapolitica, è invece un'ipotesi seria. Rafforzata dall'incapacità di Enrico Letta di trovare un candidato alternativo. Se ne sono accorti pure a Repubblica, dove hanno smesso di scherzare sulla vicenda e ieri titolavano «Berlusconi attiva la rete per la scalata al Colle», raccontando come i suoi "pontieri" lavorino per attrarre consensi, persino tra i parlamentari progressisti. Così, a sinistra, hanno iniziato ad affilare le armi per contrastare il Cavaliere. Puntando al suo nervo più esposto: la sfida infinita con le toghe. Il quotidiano di Carlo De Benedetti, Domani, ha pubblicato un appello di quindici associazioni, tra cui la Fondazione Nilde Iotti, i Comitati Dossetti e il Centro perla riforma dello Stato, fondato dal Pci: avvertono che «precondizione fondamentale» nella scelta del successore di Sergio Mattarella dovrà essere una «integrità personale attestata da una biografia specchiata». Non fanno nomi, ma il senso dietro l'apparente ovvietà delle parole è chiaro: il prossimo presidente della repubblica non può essere Berlusconi.

 

 

BARRICATE
Lo stesso concetto che parlamentari e opinionisti di sinistra vanno dicendo da qualche tempo: «Uno con quel curriculum giudiziario non può andare al Quirinale». Se lo mormorano in privato anziché gridarlo in pubblico è solo perché, visti i numeri, hanno un disperato bisogno di lui per isolare Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Però la musica sta già cambiando e la virulenza diventerà esplicita se, come tutto lascia credere, la candidatura di Berlusconi si farà concreta. Eppure, proprio il "fattore G" potrebbe avere un ruolo determinante a favore del leader ottuagenario. S' era capito già prima, ma i tre giorni della kermesse della Leopolda hanno tolto gli ultimi dubbi: per Matteo Renzi (che oggi racconterà la propria versione sul "caso Open" alla Giunta delle immunità parlamentari, dove il centrodestra è con lui), il pericolo numero uno è l'uso politico della giustizia, e la prima riforma da fare è quella della magistratura.

C'è un solo candidato al Colle che la pensa come lui su questo, e può garantirgli che non si limiterà ad assistere da notaio mentre le correnti si spartiscono procure e tribunali: Berlusconi. Da qui, l'intesa di massima già comunicata agli uomini del Cavaliere: se il fondatore di Forza Italia, nelle prime votazioni, dimostrerà di avere i voti di tutto il centrodestra, al momento giusto Renzi farà la propria parte. Tra i parlamentari di Italia viva e quelli del Pd che ancora rispondono a lui si tratta di circa 55 voti: non tutti staranno al gioco, ma ciò che manca dovrebbe arrivare dai grillini e dai tanti senza bandiera che temono la vittoria di Mario Draghi e vedono nell'elezione di Berlusconi la garanzia che la legislatura sopravviverà sino al 2023. Di certo, la scossa alla magistratura non potrebbe darla Paolo Gentiloni, nonostante il suo riavvicinamento a Renzi lo abbia reso uno dei "papabili" per il Quirinale. Anche per questo, chi conosce il leader di Iv assicura che ha fatto uscire il nome del commissario europeo ed esponente del Pd solo per confondere la acque.

 

 

«Il suo primo nome, e non certo l'unico», raccontano dal Senato, «resta Pier Ferdinando Casini. Gentiloni non sarebbe mai votato da Salvini e Meloni, e già questo lo renderebbe un candidato zoppo in partenza. Berlusconi, invece, se le cose andassero in un certo modo, è più di una possibilità...». Oggi il diretto interessato sarà al parlamento di Strasburgo, dove potrà fare sfoggio dei propri rapporti internazionali, e ieri ha incassato l'apprezzamento del tedesco Manfred Weber, vicino ad Angela Merkel e capogruppo dei popolari europei. Weber ha detto che «Berlusconi è sempre stato in maniera chiara a favore dell'Europa e per questo lo ammiro molto»; l'ipotesi di candidarlo è quindi «ragionevole». Si è sbilanciato più di quanto era lecito aspettarsi: segno che pure a Berlino la corsa del Cavaliere è presa sul serio.

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