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Matteo Renzi, la notte in cui stava per sciogliere il Pd: ecco perché sinistre e toghe lo hanno "condannato a morte"

Alessandro Sallusti
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Prima premessa: immaginiamo che Matteo Renzi abbia dei buoni avvocati e che non ne abbia bisogno di altri, per di più non richiesti. Seconda premessa: questo giornale ha da sempre riconosciuto il talento politico, spesso usato con spregiudicatezza, di Matteo Renzi ma ne ha sempre combattuto le idee politiche, del resto è stato per una breve stagione il capo della sinistra. 

 

Detto questo dobbiamo riconoscere che l'attacco giudiziario in corso contro di lui, per violenza e spiegamento di forze giudiziarie e mediatiche, ha poco a che fare con i codici penali e sa tanto di vendetta (novecento pagine di inchiesta per dimostrare l'ovvio, cioè che la sua fondazione politica Open spendeva i soldi raccolti per pagare la sua attività politica). Dicevamo vendetta perché a Renzi la triade magistrati-sinistra-Cinque Stelle vuole fare pagare almeno tre cose

La prima, più fresca e più importante, è quella di aver fatto cadere il governo Conte-Pd-Cinque Stelle che già aveva immaginato come spartirsi i 240 miliardi in arrivo dall'Europa, miliardi che ora grazie a Renzi sono nella cassaforte di Mario Draghi. 

La seconda, meno recente (ma come si dice, la vendetta è un piatto che si serve a freddo) è che Renzi da premier provò a scardinare, con l'aiuto di Luca Palamara, il sistema giudiziario di sinistra che da vent' anni comandava sull'Italia. 

Il terzo motivo di vendetta è meno noto, anzi è praticamente inedito. Nell'autunno del 2016 Matteo Renzi, segretario del Pd all'apice del suo successo, prese in considerazione l'idea di sciogliere il Pd. È una notizia incredibile ma vera secondo il racconto di persone che in quei giorni erano al fianco del premier allora alle prese con il referendum sul quale aveva puntato tutto il suo futuro. Accadde che a un certo punto, soprattutto per il boicottaggio di una parte consistente della vecchia nomenclatura Pd che Renzi stava rottamando, a partire da D'Alema, si fece largo tra i sondaggisti l'ipotesi di una inattesa sconfitta. Che fare se le cose fossero andate davvero male? Il piano A prevedeva le dimissioni immediate da premier. 

 

Ma c'era un piano B tenuto ben coperto: convocare la direzione del partito, composta a stragrande maggioranza da renziani fedeli, annunciare lo scioglimento del Pd e la contemporanea nascita di un nuovo partito, il Partito della Nazione. Secondo uno studio riservato un partito di Renzi, in quel momento, poteva valere dal 22 al 26 per cento e avrebbe lasciato poco più che briciole alla vecchia guardia Pd a lui ostile. Come è andata lo sappiamo. Sconfitta al referendum e dimissioni. 

«All'ultimo Matteo non ha avuto il coraggio sufficiente per cambiare la storia della sinistra e dell'Italia», ricorda oggi uno che c'era nelle segrete stanze. Già, ma il solo averci pensato, solo avere accarezzato l'idea di fare morire il Pd, è un peccato mortale che condanna Renzi all'inferno perpetuo. A sinistra, si sa, non sono per le indulgenze, hanno memoria lunga e metodi spicci, quelli che oggi vediamo in essere.

 

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