Carlo Calenda contro Enrico Letta: "Sbaglia ad aprire ai grillini, per le elezioni saranno già saltati in aria"
Terzo arrivato a Roma con quasi il 20% dei voti: comunque un gran bel risultato, quello di Carlo Calenda. Il giorno dopo, però, ci si aspettava da lui un'operazione da "federatore" e una mano tesa a chi punta ai suoi stessi elettori. A partire da Italia viva, da dove vengono i suoi candidati che hanno preso più voti, Valerio Casini e Francesca Leoncini. Non è andata proprio così. «Un bellissimo risultato, concordo», dice ora Calenda a Libero. «Mi ero candidato per governare la città e mi spiace non aver vinto. Ma abbiamo spiegato ai romani che cosa volevamo fare, per esempio su trasporti e rifiuti, in quanto tempo e con quanti soldi, e loro ci hanno premiato. E con Italia Viva abbiamo collaborato molto bene, schierando in lista due bravi amministratori. Ora saremo insieme all'opposizione della giunta Gualtieri».
«Insieme» è una parola grossa: Matteo Renzi è diventato il suo bersaglio fisso.
«Non è vero che è un mio bersaglio, continuo a reputarlo il miglior premier riformista degli ultimi decenni. Però resto convinto che un conto sia la politica, un conto sia essere pagato da uno Stato estero mentre si ricopre una carica parlamentare. E questo non può accadere».
A Napoli "Azione con Carlo Calenda" sosteneva Antonio Bassolino e si è fermata allo 0,45%. A Caserta avete preso l'1,6%, a Varese, il 2,1. Non teme che la sua leadership si fermi al raccordo anulare?
«No, non ho questo timore. Voglio portare Azione al 10% nazionale e sono sicuro che ci riuscirò, mettendo in pratica lo stesso metodo che abbiamo usato a Roma: scrivendo programmi seri e andando a prenderci i voti uno per uno. Ho iniziato un tour che mi porterà in tutta Italia, proprio perché penso che gli elettori debbano essere convinti con le proposte, non con le alchimie politicistiche sul grande centro».
Vuole costruirselo da solo, quel centro?
«A me la parola "centro" fa venire l'orticaria. La politica, per come la concepisco io, non è mettere insieme un fritto misto che faccia l'ago della bilancia. La gente ne ha piene le tasche di questi giochetti».
Se il suo obiettivo non è il centro, qual è?
«In Italia occorre una coalizione larga come quella che c'è in Europa. Io voglio spezzare l'idea che ci siano due poli che si urlano addosso senza costrutto. La distanza tra Letta, Carfagna e Giorgetti è molto inferiore a quella tra Letta e la Raggi. Così come quella che separa Letta e Giorgetti è inferiore a quella tra lo stesso Giorgetti e Borghi o Bagnai».
Resta il fatto che Enrico Letta ha chiuso la porta a Renzi, ma la tiene aperta per lei. Varca la soglia?
«No. A Letta l'ho detto tante volte, anche dopo la vittoria di Gualtieri: il fronte "da Conte a Calenda" non mi convince. Non è la strada giusta. Il segretario del Pd dovrebbe avere il coraggio politico di mollare i Cinque Stelle, che insieme alla destra sovranista sono i veri sconfitti delle amministrative».
E invece Letta pare intenzionato a fare entrare il M5S nel gruppo europeo cui appartiene pure lei, quello dei socialisti. A sentire Luigi Di Maio, la cosa è fatta. Lei aveva detto che se ne sarebbe andato, se fossero arrivati i Cinque Stelle. Conferma?
«Deciderò se e quando avverrà. Ho idee molto chiare al riguardo, ma credo che quando arriveremo a votare il M5S sarà già saltato per aria, disperso in ventimila pezzi».
Pure nel centrodestra c'è chi guarda a lei. Il ministro forzista Renato Brunetta ha proposto un'alleanza «tra popolari, liberali e socialisti», che avrebbe Mario Draghi come punto di riferimento. Parlate la stessa lingua.
«Guardo con grande attenzione a ciò che succede in Forza Italia, ma credo che per loro sia il momento di fare un passo in avanti. Di certo sono d'accordo con Brunetta sul fatto che l'Italia abbia bisogno di un fronte che escluda i sovranisti, perché credo che le famiglie dei popolari, dei socialisti e dei liberali abbiano la forza di ricostruire l'Italia attorno alla figura di Draghi».
Con questa legge elettorale non è facile. Con un'altra, forse. Lei come la vorrebbe?
«La legge elettorale deve essere concepita per dare stabilità al Paese, non per coniare un nuovo latinismo che riprenda il nome di chi l'ha scritta. Noi saremmo a favore di un sistema simile a quello con cui si va al voto nei Comuni, che contempli un doppio turno. Abbiamo capito, però, che questa ipotesi non incontra molto gradimento e allora puntiamo su un sistema proporzionale con sbarramento alto, anche al 5-6%».
Dicevamo di Draghi. Lei chi voterebbe, se fosse tra i 1.009 che sceglieranno il prossimo presidente della repubblica?
«Penso che Draghi debba restare a palazzo Chigi anche dopo le elezioni del 2023, con il sostegno di una coalizione seria e pragmatica, per continuare a gestire il Paese come sta facendo in questi mesi. La sua leadership è riconosciuta in tutto il mondo e in Italia non ne abbiamo tanti come lui. Paolo Gentiloni sarebbe un ottimo presidente della repubblica».
Di certo sarebbe il terzo capo dello Stato consecutivo proveniente dal Pd. Non le pare il momento di cambiare?
«L'elezione del presidente della repubblica non è un derby e non possiamo affrontarla come se fossimo divisi in tifoserie. Gentiloni è uomo molto trasversale, equilibrato e con saldissimi rapporti con l'Europa. Lui e Draghi, insieme, metterebbero al riparo l'Italia anche nella prossima legislatura».
Il leghista Giancarlo Giorgetti, quando propone Draghi come presidente della repubblica "alla francese", senza passare per una riforma costituzionale, non la convince?
«No, per nulla. E non solo perché così si "romperebbe" la Costituzione. Governare significa gestire quotidianamente questioni molto diverse tra loro, e dal Colle non si può certo fare tutto».
Lei è stato sempre molto critico nei confronti del reddito di cittadinanza. Le modifiche previste da Draghi le paiono sufficienti?
«Il governo poteva fare di più. Il reddito di cittadinanza si è rivelato un fallimento colossale, pensato male e realizzato peggio. Il sostegno per chi è in povertà serve, ma può essere garantito riformando il reddito di inclusione, ad esempio».
Da candidato sindaco, lei aveva proposto di far lavorare alla pulizia di Roma chi riceve il reddito di cittadinanza. L'idea della ramazza non pare aver convinto né Draghi né Gualtieri.
«È un gran peccato. I percettori di reddito di cittadinanza in grado di lavorare, ricevendo un'integrazione economica, avrebbero potuto rendersi utili ripristinando una figura storica, quella dello spazzino di quartiere. La mia città ne ha un grande bisogno, e non credo sia l'unica».