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Sergio Mattarella e il bis al Quirinale, "si allarga il partito". Smottamento in Parlamento, cambia tutto

Fausto Carioti
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Il desiderio di Sergio Mattarella di lasciare il Quirinale al termine del settennato è reale: lo confermano ciò che ha detto ai suoi (pochi) confidenti e la ricerca di una casa a Roma. Quell'appartamento rischia però di rimanere vuoto, almeno per qualche anno. Sta prendendo corpo, infatti, un partito trasversale intenzionato a lasciare Mattarella nella sua dimora attuale ancora per un po'. Di questo hanno parlato Giancarlo Giorgetti e Luigi Di Maio l'altra sera, al tavolo della pizzeria. Ai suoi interlocutori (non solo italiani), Giorgetti assicura di voler portare avanti il proprio progetto.

Che consiste nel cambiare direzione alla Lega, spostandola dal gruppo sovranista europeo al Partito popolare, avvicinandola quindi a Mario Draghi. Per questo, probabilmente assieme a Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, dovrà sfidare Matteo Salvini. Non ora, però. «È troppo presto, mi serve tempo», ripete il ministro dello Sviluppo economico. Congelare l'assetto attuale, lasciando Draghi al governo, secondo Giorgetti innescherebbe il grande cambiamento del sistema politico. I primi segni già si vedono, pure nel centrodestra: nella Lega e in Forza Italia è apparsa una componente che considera Draghi un punto di riferimento, anziché una parentesi da chiudere al più presto. Come invece lo vede Salvini, al quale non spiacerebbe liberarsene tra tre mesi. Il disegno di Giorgetti coincide con quello di Di Maio.

 

 

 

 

Dentro ai Cinque Stelle, chi vuole sbarazzarsi dell'attuale presidente del consiglio è Giuseppe Conte. Il quale, proprio per questo, ha aperto all'ipotesi di farlo votare al Colle dai parlamentari del M5S. Ci sarebbe un governo nuovo, guidato da un premier inevitabilmente più debole, e la bilancia del potere tornerebbe a pendere dalla parte dei partiti e di chi li comanda. In tempo per mettere le mani sui soldi europei e trascorrere l'anno che precede le elezioni all'insegna della spesa pubblica. Per Conte, capo di quella che è tuttora la prima forza del parlamento, sarebbe l'unico modo per consolidare la propria leadership; per Di Maio, la fine delle ambizioni di scalata al movimento.

Come i due ministri la pensa chi, dentro Forza Italia, non vuole finire fagocitato da Salvini. Un Mattarella bis è ciò che ha in mente Mara Carfagna quando sconsiglia di portare Draghi al Quirinale, perché «un minuto dopo avremmo da risolvere il rebus del governo, con la possibile apertura di una crisi, con maggioranze non scontate, con il rischio di un esecutivo solo elettorale». Tutti coloro che sperano di far diventare più profonde le crepe già evidenti dentro Forza Italia e nel Pd, rompere gli schemi attuali e aggregare un nuovo polo centrista, hanno bisogno che continui l'effetto prodotto da Draghi a palazzo Chigi, stabilizzante per il Paese e destabilizzante per i partiti.

Rientrerebbe in campo Matteo Renzi, che di quel centro vuole essere il federatore, e dormirebbero sonni tranquilli i 690 parlamentari di prima nomina, perché la legislatura sarebbe al sicuro, e con essa i loro vitalizi. Sarebbero soddisfatti pure a Washington e a Bruxelles, dove l'asse Mattarella-Draghi è ritenuto la migliore combinazione possibile per gli interessi atlantici e gli impegni assunti con l'Europa. E si sa che le cancellerie straniere non votano, ma spesso riescono comunque a essere decisive.

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