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Quirinale, col ddl Zan la prova generale dei franchi tiratori: post-Mattarella, Pd a rischio fiasco

Sergio Mattarella  

Fausto Carioti
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L'euforia dei vincitori delle amministrative è stata breve. Il tempo di arrivare al primo scrutinio segreto importante e il "campo largo" col quale Enrico Letta sogna di tornare al governo dopo le elezioni politiche è tornato ad essere il campo di Agramante, dominato dalla discordia. L'errore più grave che potrebbero commettere ora il segretario del Pd e il suo alleato Giuseppe Conte è convincersi che il problema sia circoscritto alla legge Zan. Il messaggio inviato ieri dall'aula del Senato è più complesso, e certifica che il caos comanda su due livelli. Non solo non c'è traccia del "nuovo Ulivo", perché ogni partito che dovrebbe farne parte va per conto proprio, ma il leader che si presentasse all'elezione del successore di Sergio Mattarella convinto di poter comandare a bacchetta le proprie schiere, finirebbe quasi certamente per schiantarsi. E questo perché la pancia dei gruppi parlamentari ormai non risponde più alle segreterie dei partiti; non nel Pd e nei Cinque Stelle, quantomeno.

Pier Luigi Bersani, che di cadute rovinose lungo la salita al Colle se ne intende (si dimise da capo del Pd nell'aprile del 2013, umiliato dalla mancata elezione di Franco Marini e Romano Prodi), ha provato a spiegarlo al suo amico Letta e agli altri alleati: «Sul ddl Zan al Senato un colpo molto grave ai diritti e temo una prova generale per il quarto scrutinio per il Quirinale. È tempo che il campo progressista prenda piena coscienza della situazione». Un campanello d'allarme, insomma: attenti, compagni, che se insistiamo con lo schema "prendere o lasciare", perdiamo pure la partita perla presidenza della repubblica.

 

 

Nella sinistra del Pd e tra i Cinque Stelle, molti riducono la questione all'asse tra Matteo Renzi (dal cui partito, secondo loro, proverrebbero i franchi tiratori), e gli avversari. Fa così l'ex ministro grillino Vincenzo Spadafora, per il quale «il disegno di legge Zan è stato affossato grazie ad una tattica parlamentare messa in piedi da Italia Viva, che ha fatto sponda al centrodestra». Ma è una lettura consolatoria, che non regge. Ignora il fatto che i senatori di Italia viva presenti al voto erano 12, mentre i franchi tiratori sono stati molti di più: almeno una ventina, forse il doppio, se si mettono nel conto quelli che nel centrodestra hanno fatto il gioco opposto.

PARLAMENTO "LIQUIDO" - C'erano senatori contrari al ddl Zan tra i cattolici del Pd e tra le anime silenti dei Cinque Stelle. E c'erano quelli che del provvedimento contro la «omotransfobia» sostanzialmente se ne fregano, ma hanno voluto far capire che senza il loro permesso nulla si potrà più fare, men che meno scegliere il prossimo capo dello Stato.

 

 

Non una buona notizia per chi vorrebbe portare Mario Draghi al Quirinale, ipotesi che terrorizza quasi tutti i parlamentari, ma soprattutto quelli ormai distanti dai vertici dei partiti, consapevoli che non saranno ricandidati e determinati a scongiurare ogni scenario che possa innescare la fine anticipata della legislatura. Hanno vinto loro, ieri. E non solo. Come nota un senatore di una sigla di centro, «sono stati decisivi i centristi del centrodestra, che hanno tenuto la posizione accanto ai senatori dei tre partiti maggiori, e sono stati decisivi i moderati delle sigle progressiste, visto che gran parte dei franchi tiratori proviene dai cattolici democratici e da Italia viva».

È il post scriptum del messaggio uscito ieri dall'aula. Tra Camera e Senato, intorno a quell'area di mezzo, fuori dai partiti più grandi, gravita un centinaio di parlamentari. Se il parlamento è "liquido" e nessun leader controlla davvero i suoi, ogni muro contro muro è destinato al fallimento. Occorre quindi partire da una base di numeri molto ampia, e questo rende il gruppone centrista indispensabile a chiunque voglia portare a casa il risultato. Ieri è tornato utile al centrodestra. Ora Letta deve evitare che il copione si replichi. Può riuscirci solo comportandosi al contrario di come ha fatto stavolta: rinunciando alle proprie pretese, ascoltando gli altri, cercando un'intesa. Altrimenti, a febbraio, gli effetti saranno molto più devastanti, per lui e per la sinistra. 

 

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