Cerca
Cerca
+

Quirinale, l'incubo del voto segreto: ecco perché Berlusconi, Amato e Casini ce la possono fare

 Sergio Mattarella

Fausto Carioti
  • a
  • a
  • a

C'è un che di surreale, in tutti i ragionamenti che i capi partito fanno riguardo all'elezione del presidente della repubblica. È la presunzione che in quel momento, quando i 1.008 "grandi elettori" voteranno in segreto per scegliere il successore di Sergio Mattarella (e ne dovranno convergere almeno 672 sullo stesso nome nei primi tre turni, o 505 dal quarto in poi), la disciplina interna ai loro gruppi funzioni davvero. Come se Giuseppe Conte avesse in tasca un voto che ne vale 233, tanti quanti sono gli eletti del M5S, e dunque poco meno della metà del quorum per eleggere chicchessia, si chiami Mario Draghi o Liliana Segre. O come se a Silvio Berlusconi bastasse convincere Matteo Salvini, Giorgia Meloni e i capetti dei cespugli di centrodestra per arrivare a 451 voti, appena 54 in meno del necessario.

 

Ma non è così che funziona. E non è la solita questione dei franchi tiratori. Quelli ci sono sempre stati, la repubblica è nata con l'assassinio politico di Carlo Sforza, che nel maggio del 1948 era stato scelto da Alcide De Gasperi per succedere a Enrico De Nicola, e fu silurato dalla sinistra democristiana di Giuseppe Dossetti. Però questi ignoti "traditori" si sono sempre mossi in truppe manovrate dai capicorrente, seguendo logiche di potere interne ai partiti.

DEBOLEZZE
Stavolta sarà diverso. Trame e vendette personali e politiche ci saranno, va da sé. Ma un ruolo più importante promette di averlo la paura di trovarsi senza uno spicciolo né un mestiere, dopo aver toccato il cielo del potere con un dito. I partiti e i loro leader sono sempre più deboli: persino Berlusconi è contestato dai ministri di Forza Italia. Il messaggio della paura, al contrario, arriva forte e chiaro a tutti, e nasce dal combinato disposto di tre fattori. Il primo è il taglio dei parlamentari eletti: sono stati 945 sinora, diventeranno 600 al prossimo giro. Meno posti per tutti, dunque. Il secondo fattore sono le quotazioni di alcuni partiti, la cui rappresentanza rischia di essere ulteriormente decimata dagli italiani. Chiedere a quelli del M5S, che nel 2018 fu il primo partito e rappresenta tuttora il 25% del parlamento: oggi è il quarto, e i sondaggisti gli attribuiscono appena il 15% dei voti.

Su scala più piccola, non se la passano meglio Forza Italia e Italia viva. Il terzo fattore riguarda tutti coloro per i quali questa è la prima legislatura: se l'esperienza finirà prima del 19 settembre, non matureranno il diritto al vitalizio. Esono tanti a trovarsi in questa situazione, soprattutto dentro ai Cinque Stelle e alla Lega, che nel 2018 portarono in parlamento una carica di "novellini" (rispettivamente, il 73% e l'86% dei loro eletti). Il risultato è che oggi moltissimi senatori e deputati hanno ottime ragioni per mettere la difesa della legislatura in cima all'elenco delle proprie motivazioni, ben prima della lealtà al partito o alla corrente d'appartenenza.

 

A rischiare di più è proprio Draghi, l'uomo il cui trasloco al Quirinale farebbe traballare l'intero sistema. Per questo, come spiega un senatore della maggioranza che segue da vicino le trattative, «se Draghi vorrà essere eletto, dovrà convincerci che non saranno sciolte le Camere». In altre parole, il pacchetto "Draghi al Colle" dovrà comprendere anche il nome del suo successore a palazzo Chigi, e non solo. L'idea sarebbe quella di sfruttare l'occasione per avviare, con le maniere spicce, una sorta di "semipresidenzialismo alla francese", nel quale il capo del governo è emanazione del presidente della repubblica.

Dal Quirinale, insomma, Draghi proteggerebbe il suo successore alla presidenza del consiglio, e il nome ideale sarebbe quello dell'attuale ministro dell'Economia, Daniele Franco. In questo modo si potrebbe, da un lato, avviare con i fatti la grande riforma delle istituzioni italiane, e dall'altro tranquillizzare le centinaia di anime inquiete che popolano il parlamento. Convincerle che, "blindata" così, la legislatura arriverebbe a scadenza naturale.

AZZARDO
Ma sarebbe un azzardo. Perché la Costituzione in vigore rimarrebbe sempre - ovviamente - quella attuale, che mette i governi nelle mani della maggioranza parlamentare. E se un Letta, un Conte o un Salvini non volesse aspettare la scadenza naturale della legislatura e decidesse di approfittare del cambio a palazzo Chigi per togliere l'appoggio all'esecutivo, convinto di ricavare qualche convenienza dalle elezioni anticipate, sarebbe assai difficile impedirglielo. I parlamentari terrorizzati dal voto lo sanno bene. Anche quelli tra loro che hanno un'idea di cosa sia la quinta repubblica francese e l'apprezzano, le preferiscono la certezza del vitalizio e della poltrona. È per questo che le quotazioni degli Amato, dei Casini, dei Gentiloni e dei Berlusconi restano alte. Se fosse eletto uno di loro la legislatura non traballerebbe, e questo significa che nello scrutinio segreto potrebbero pescare voti pure tra quei parlamentari che in pubblico li disprezzano. È il lato buono dei franchi tiratori.

 

 

Dai blog