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Fabio Rampelli, il "Rasputin" della Meloni: indiscreto, "un nuovo Fini in ritardo"

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Non è un Carneade qualsiasi ma il Rasputin della sezione missina di Colle Oppio che ha influenzato la generazione di militanti da cui proviene Giorgia, la quale l'ha dignitosamente musealizzato alla vicepresidenza della Camera in quota vecchia guardia. Ma a lui non basta e così, all'indomani della sconfitta alle amministrative, ha deciso di trasformarsi da leader rionale nel Brunetta della Meloni, chiedendole di diventare il nuovo Aznar, una Giorgia centrista coi baffi ma senza più voti.

 

 

 

 

 

Troppo zelo per non immaginare che parlasse da uomo ferito in cerca di riscatto dentro Fdi. Non che l'idea di una grande forza euroconservatrice sia in sé sbagliata, ma è esattamente ciò a cui sta lavorando la sua capa (con un certo successo) da quando ha deciso di affrancare i post missini dalla Scientology rampelliana. Considerata la scelta dei tempi per la sua sortita, più che un meloniano in anticipo sui tempi Rampelli sembra un Gianfranco Fini in sospetto ritardo.

 

 

 

 

 


Giancarlo Giorgetti. Se la Lega non va al Ppe, lui cerca di inoculare un po' di centrismo nella Lega. È il più intelligente di tutta la banda salviniana, nonché l'artefice paziente dell'elezione draghiana al soglio di Palazzo Chigi che ha riportato la Lega in maggioranza liberando Salvini dal vicolo cieco di un'opposizione infeconda. Per lui il moderatismo non è una strategia ma lo stato d'animo con cui rivestire l'età adulta del salvinismo. Il guaio è che il suo capo non ha alcuna voglia di federarsi con il Cavaliere nel Ppe, in Europa preferisce le "cattive compagnie" sovraniste e in Italia oscilla tra fedeltà al governo e tentazioni sediziose. Ma GG, come sempre, guarda oltre. Fosse per lui, la Lega diventerebbe la Csu italiana, il partito democristian-nordista che traina il Pil e fa accordi con chiunque governi a Roma, meglio se liberal -conservatore naturalmente. Giorgetti resta pur sempre il figlio prediletto delle cene del lunedì tra Berlusconi e Umberto Bossi, il lettore di Gianfranco Miglio e il sobrio cantore di un realismo fatalista.

 

 

 

Non teorizza grandi scenari, pratica la concretezza e sa che il futuro vestirà a lungo la grisaglia dell'establishment europeo. Per questo avrebbe voluto fin dapprincipio anche i Fratelli d'Italia accanto a Draghi, in modo da sottrarlo alle sirene della nomenclatura democratica. È stato lui l'artefice principale della fragile tregua tra Giorgia e Matteo, ma non s' immolerà per loro. Piuttosto si ritirerà in preghiera sul lago di Varese.

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