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Renzi, Calenda e la scissione di Forza Italia: il complotto alle spalle di Berlusconi

Elisa Calessi
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Le parole consegnate da Renato Brunetta a Repubblica sono musica per le orecchie di chi, da tempo, lavora al disegno di creare un'area liberale, socialista, popolare. Un partito "draghiano" senza Draghi, che abbia come programma l'agenda dell'attuale premier e in lui il candidato naturale a tornare a Palazzo Chigi dopo il 2023. Il primo a esultare è Carlo Calenda: «Mi pare che in una parte di Fi stia maturando la consapevolezza che con i sovranisti non si governa. Spero che il Pd riuscirà a fare lo stesso. Almeno nei confronti dell'ala più estrema dei 5S. Buone notizie». Ed entusiasta è Andrea Marcucci, ultrà riformista del Pd: «Lo scenario evocato da Brunetta è molto interessante. I tre grandi filoni (socialista, popolare e liberale) possono servire a superare la stagione del populismo e del sovranismo. C'è davvero bisogno che tutti i partiti siano all'altezza di Draghi».

 

 

PROPORZIONALE
Dalle parti di Renzi parla Ettore Rosato: «Mi sembra che Brunetta dica cose sagge. E mi aspetto che diventino le politiche di Berlusconi». Nel Pd, invece, prevale la prudenza. L'unico che parla è Matteo Ricci, il quale riconosce che, sì, «c'è un grande disagio nella parte moderata del centrodestra che vuole essere più libera rispetto all'abbraccio dei sovranisti». Ma per dare prospettiva a quel disagio, ammette, «serve una nuova legge elettorale», che permetta «all'area popolare di organizzarsi in modo autonomo». Questo è il punto: per rendere realtà l'idea di Brunetta serve il proporzionale. Se no, sono chiacchiere. Serve un sistema che permetta a Fi di sganciarsi da Lega e FdI, pur senza rinnegare il centrodestra, ma poi porti, alle elezioni del 2023, a un risultato senza vincitori netti, così che costringa i partiti, dopo il voto, a dare vita a un governo sostenuto o da una maggioranza Ursula oppure da Lega, Fi, Pd e M5S, come ora. Solo che Berlusconi, al momento, non vuole. Non rinuncia alla logica del bipolarismo. «Dipende da Salvini e da Letta», si dice dalle parti di Renzi. «Se si convincono a fare il proporzionale, qualcosa può nascere». Anche con un premio di maggioranza alla coalizione, poi si vede. Ma deve esserci una disponibilità sul proporzionale. «A Salvini, a questo punto, conviene», si dice. Uno snodo importante sarà l'elezione del presidente della Repubblica. Per chi lavora a un'area liberale-socialista-popolare, è essenziale una cosa: Draghi non deve andare al Colle. Può sembrare un paradosso, ma c'è una logica: se Draghi non viene eletto al Quirinale, è libero per fare il premier nella prossima legislatura. Che è quanto vogliono Calenda, Renzi, Brunetta.

 

 

LEADERSHIP
Nel Pd lettiano si tace. Il sogno di Letta è fare una maggioranza Ursula. Ma lui stesso sa che, fino a quando Berlusconi tiene le fila, è difficile. Dentro Base Riformista ci si chiede «cosa farebbe Brunetta, nel caso in cui Berlusconi anche dopo febbraio dovesse confermare il suo ancoramento alla Lega e a Fdi». C'è poi, nell'area grigia del "centro", un problema di leadership. Tutto, in ogni caso, si capirà dopo febbraio. «L'accordo sulla legge elettorale può stare dentro un pacchetto che comprende anche il Quirinale», si dice tra i renziani. Il messaggio ha due destinatari: Letta e Salvini.

 

 

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