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Giuseppe Conte, non solo Di Donna: ecco la "banda degli onesti" dell'ex premier, quanti guai giudiziari

Francesco Specchia
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«Onestà! Onestà! Onestà!». Suona sfiatato, in queste ore, il motto di piazza dei Cinque Stelle di qualche millennio fa, quello che - direttamente ispirato alla poetica di Davigo - spingeva la band di Giuseppe Conte a ritenere il sospetto «anticamera della verità». Ora, la notizia è che l'ex commissario per il Covid Mimmo Arcuri e l'avvocato Luca Di Donna, sodali a vario titolo di Conte, risultano ufficialmente indagati per corruzione, peculato e abuso d'ufficio e traffico di influenze illecite, tutt'insieme. Approssimazione, violazioni di legge reiterate, morale vischiosa: la band di Conte oggi ci ricorda la Banda degli onesti di Totò, si passa dalla regia di Piercamillo Davigo a quella di Camillo Mastrocinque. Resta da capire se ad Arcuri va la parte del Principe De Curtis o di Peppino De Filippo, il mitico falsario Lo Turco. Sicuramente Di Donna è Giacomo Furia, dei tre il caratterista. Premettiamo: siamo garantisti, e questo terzetto dell'impossibile è giudizialmente innocente fino al terzo grado. Eppure non è bello. E spiazza il fatto che Arcuri sia indagato per la maxi-commessa da 1,25 miliardi per 800 milioni di mascherine Made in China giudicate non solo spropositatamente costose ma addirittura pericolose. Ci eravamo preparati, beninteso. Report sul caso aveva costruito una puntata, Libero sul tema è sempre stato aggiornatissimo. E bastava avere dei figli a scuola o ascoltare le invettive di Vincenzo De Luca («Cheste so' le mascherine di Bugs Bunny») per dubitare che quei dispositivi, a forma di piccolo pannolone, potessero avere tenuta stagna. Su Arcuri proseguono anche le indagini per altri due capi d'accusa, che si allungano fino ai conti sospetti di Invitalia di cui il caro Mimmo è onnipotente amministratore.

 

 

 

MADE IN CHINA

Sempre innocente fino a prova contraria, ci mancherebbe. Epperò fa specie leggere, dalla Guardia di Finanza, che «una considerevole porzione dell'intera fornitura sia stata validata sulla base di una sistemica sostituzione dei test-report». Il tutto mentre Arcuri alternava querele contro i giornalisti a ospitate tv; e nel frattempo aumentavano i contagi; ci diceva che tutto andava bene madama la marchesa; e firmava contratti da 100 milioni di pezzi con società olandesi con un solo dipendente, a prezzi raddoppiati; e sbagliavale forniture per il fabbisogno nazionale di camici, tamponi, reagenti. E se glielo facevi notare, diamine, s' incazzava pure e congratulandosi con se stesso si dava «delle pacche sulle spalle da solo». Scriveva Milena Gabanelli sul Corriere della sera: «Arcuri, manager politico navigato, non ha competenze specifiche in Sanità, ma l'articolo 122 gli consente di avvalersi di soggetti attuatori e di società in house, nonché delle centrali di acquisto. Decide di non farlo». Questo è Arcuri. Ora, si trattasse solo di inerzia, andrebbe anche bene. In realtà è l'attivismo degli onesti a creare problemi. Per esempio Di Donna, amico e coautore di molti testi scientifici di Giuseppe Conte, finisce nei guai a causa di un imprenditore che non voleva sottostare alla "clausola dell'otto per cento" da lui pretesa come mediazione per i grossi affari. Un casino pericoloso. Di tutta risposta, Conte, da premier, afferma di aver perso le tracce dell'amico carissimo. Il quale, però, proprio Conte regnante, diventa consulente della Commissione parlamentare antimafia (oggi è revocato), e si vanta attraverso il capo di gabinetto dell'Aise di avere influenza sugli appalti, quindi su Arcuri quindi su Conte stesso. Aldilà dell'esito delle indagini resta, per l'ex premier (non indagato) lo sgarro peggiore. La violazione del patto di trasparenza e, appunto, di onestà con gl'italiani.

 

 

 

PATTO DI FIDUCIA

Conte, durante il lockdown, chiedeva al popolo sudore, sangue e sacrifici. La gente moriva, la paura di non farcela avvolgeva il futuro e la palingenesi dell'Italia del dopo Covid doveva accendersi nel rispetto di un rinnovato rapporto cittadino/istituzione. Ogni politico avrebbe dovuto estendere la propria statura a quella di un padre costituente. Noi pensavamo al New Deal rooseveltiano, e alla nuova Frontiera di Kennedy («non chiederti cosa può fare il tuo paese per te...ecc ecc») e ci siamo ritrovati con la solita mentalità limacciosa, venale e- nel migliore dei casi - pasticciona della Banda degli onesti. Al di là come vada, ovvio che, col senno di poi, il generale Figliuolo ti sembra Eisenhower.... 

 

 

 

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