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Quirinale, il patto segreto tra Gianni ed Enrico Letta: asse per Giuliano Amato al Colle

Fausto Carioti
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Più sottile di quando sussurrava all'orecchio di Bettino Craxi o preparava il prelievo notturno del 6 per mille dai conti degli italiani. Ma non al punto di passare inosservato. Giuliano Amato ha un presente defilato, da giudice costituzionale, e un passato denso di incarichi e momenti importanti (incluso l'"addio" alla politica, nel giugno del 2008). Negli ultimi sei anni, triste dirimpettaio, è stato visto spesso contemplare il palazzone del Quirinale dalle finestre della Consulta. Guardava e sospirava, e i suoi colleghi stavano ben attenti a non fargli domande. Tutti sapevano che la presidenza della repubblica era il suo grande rimpianto. Mancata solo perché nel 2015 Matteo Renzi, anziché schierarsi con Silvio Berlusconi, si buttò su Sergio Mattarella. O almeno così racconta Amato.

 

 

Da qualche tempo ha smesso di sospirare. Gli è tornato l'appetito ed ha ricominciato a fare la cosa che gli riesce meglio: tessere la tela al centro della quale c'è lui. Se Romano Prodi, dopo anni di latitanza, ha ricominciato a farsi vedere nelle strade attorno al parlamento assieme alla moglie Flavia, sorridente e affabile come solo i salumai delle sue parti riescono ad essere, il curiale Amato lavora lontano dagli sguardi. E così facendo ha già incassato un risultato, cosa che pochi pretendenti al Colle possono dire: ha messo d'accordo il segretario del Pd e almeno mezzo Berlusconi, quello che dà retta a Gianni Letta. Enrico e Gianni, nipote e zio. Ne hanno parlato più volte, tra loro e con lui, e ora Amato è il loro candidato comune per il Colle.

 

 

Per Enrico, Amato è un ulivista doc e un maestro, come lo sono stati Beniamino Andreatta e Prodi. Per Gianni, non ha mai smesso di essere il consigliere di Craxi, e così lo vede pure Berlusconi. Tutti sanno, però, che il valore aggiunto del personaggio è un altro: se il successore di Mattarella fosse lui, nulla impedirebbe al governo di tirare avanti sino al termine della legislatura, e dunque ai parlamentari di incassare i contributi e lo stipendio sino all'ultimo giorno possibile. Argomenti che lì, quando sarà il momento di votare in segreto, potrebbero fare la differenza con Mario Draghi. Gli ostacoli sono due.

 

 

Il primo è l'anagrafe. Classe 1938, Amato arriverebbe al Colle alla soglia degli 84 anni. Nulla di insormontabile, però: Giorgio Napolitano diventò prima carica dello Stato a 81 anni e ottenne la rielezione sette anni dopo. Più serio l'altro problema: chi lo vota? I Cinque stelle, che sebbene allo sbando mantengono la rappresentanza parlamentare più numerosa, probabilmente ci starebbero, proprio perché la sua elezione garantirebbe la sopravvivenza della legislatura. Motivo per cui Amato potrebbe vendemmiare voti anche tra i centristi e gli apolidi del gruppo misto (un centinaio di parlamentari in tutto). Quanto a Renzi, Amato è convinto di avere un credito nei suoi confronti, maturato proprio sette anni fa, quando gli preferì Mattarella: spera di riscuoterlo adesso. L'incognita sono i sovranisti. Matteo Salvini e Giorgia Meloni digerirebbero un candidato così lontano da loro? E se non lo facessero, Berlusconi accetterebbe di spaccare il centrodestra? Altro lavoro per Amato, che tessendo con i due Letta ha iniziato bene la propria tela, ma è ancora lontano dal finirla. 

 

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