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Alessandro Campi, la ricetta per il centrodestra: "Così può tornare a vincere. Ma Berlusconi stia attento alla sinistra"

Fausto Carioti
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Docente di Scienza politica all'università di Perugia, già direttore della casa editrice Ideazione e direttore scientifico della Fondazione Farefuturo, Alessandro Campi è uno dei massimi conoscitori della destra italiana ed europea. Guarda ai risultati delle amministrative e non ci vede l'apocalisse. «Il centrodestra ha indubbiamente perso consensi. Il voto dei grandi agglomerati urbani, dove la sinistra è storicamente egemone, vale circa il 30% dell'elettorato nazionale. E l'astensionismo è stato molto alto. Ma nella provincia e nelle aree interne il centrodestra continua ad essere maggioranza sociale e politica. Nel 2023 (visto che non si voterà prima) sarà un'altra partita. E a sinistra lo sanno benissimo, altrimenti non sarebbe partita, con due anni d'anticipo, questa furibonda caccia mediatica all'uomo nero...».

Resta il fatto, professore, che Lega e Fdi, negli ultimi anni, hanno avuto il consenso del 41% degli italiani. Adesso, ovunque, il risultato dell'intero centrodestra è stato molto più basso. Come se lo spiega?

«In alcuni casi non sono piaciute le scelte dei candidati. E forse non sono piaciuti nemmeno i temi della campagna elettorale e il modo con cui è stata condotta. La contrarietà al green pass di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, come hanno dimostrato molti sondaggi, non è condivisa dalla gran parte degli elettori di centrodestra. Che quindi, in quota consistente, sono rimasti a casa».

Come possono essere recuperati?

«Cambiando tono e temi. Meno battaglie sulla sicurezza, sulla dittatura sanitaria, sull'immigrazione selvaggia, e più impegno sul lavoro, la protezione sociale, l'ambiente, i giovani. Temi che altrimenti si rischia di regalare alla sinistra».

Quanto manca al centrodestra un "federatore" come Berlusconi?

«Il Cavaliere non è mai stato il federatore del centrodestra. Ne era il dominus: grazie alla forza del suo partito, dettava lui la linea. Oggi i rapporti di forza sono diversi e non si può non tenerne conto. In ogni caso al centrodestra non serve un federatore, ma un progetto politico coerente e condiviso. E certo non aiuta che un pezzo dell'alleanza stia al governo e un altro all'opposizione».

Resta il principio per cui il leader del partito che prende un voto in più è capo della coalizione e candidato alla guida del governo.

«Un'idea ridicola. Oltretutto si è visto cosa produce questa contesa sulla leadership: alla fine ci perdono tutti».

Crede anche lei che a Salvini e Meloni palazzo Chigi sia precluso per questioni di "standing", di credibilità internazionale, come lo stesso Cavaliere avrebbe detto nel colloquio con la Stampa?

«Lo standing del Cavaliere sulla scena internazionale, quando governava ed era in auge, non era francamente altissimo. Abbiamo dimenticato tutto, ma per anni nelle cancellerie e sulla stampa mondiale lo si è descritto come un impresentabile, un Mussolini in versione catodica. Oggi ad avere per il Berlusconi statista è la sinistra che prima lo un pericoloso populista».

 

 

Una trappola, insomma.

«Con tutta evidenza. Giocano carta del Cavaliere moderato contro i suoi alleati estremisti per disarticolare l'alleanza di centro destra. Il problema è che dalle parti di Forza Italia qualcuno ha già abboccato. Il trattamento mediatico riservato oggi alla Lega e a Fdi è esattamente lo stesso (ad opera degli stessi ambienti) inflitto per vent' anni ai berlusconiani. Come fa a non rendersene conto?».

Lega e Fratelli d'Italia hanno tinto a lungo alla retorica del po nostalgia stessa considerava la si atpolo contro i salotti. Ma chi si candida a guidare l'Italia può fare a meno del rapporto con le élite? Non c'è il rischio che poi la classe dirigente si tenga alla larga dal centrodestra, e che questo non abbia uomini all'altezza da candidare per il governo del Paese e delle grandi città?

«È il limite della retorica populista: giocare al popolo contro le élite senza rendersi conto che è la collaborazione virtuosa tra queste due componenti che rende forte un sistema politico. Nel Paese di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto è curioso che non si riconosca il valore direttivo che deve essere assegnato alle élite e le si consideri invece delle minoranze parassitarie. Strano anche che il centrodestra non abbia imparato la lezione dal passato: il consenso elettorale non basta se non si ha un potere culturale e una rete di relazioni sociali altrettanto forti. Si vince, ma poi non si governa».

Intanto è riaffiorata la tentazione di Salvini di uscire dal governo, magari su un tema "identitario" come il fisco, per recuperare i consensi ceduti a Fdi. Sarebbe una mossa sensata?

«Lui stesso ha escluso di voler uscire dal governo, che poi è quello che vorrebbero Enrico Letta e il Pd per mettere definitivamente il cappello sul governo Draghi. Detto questo, fa bene a dare battaglia sul fisco. Primo, perché è un tema storico della Lega. Secondo, perché è un tema che tocca da vicino gli elettori. Terzo, perché il problema di un governo tecnico che decide azzerando la dialettica parlamentare ed esautorando i partiti è serio e reale. Stiamo vivendo una stagione di emergenza democratica. Salvini sta sicuramente alzando la posta per far dimenticare la sconfitta alle urne, ma ciò non vuol dire che abbia torto».

Mario Draghi è quindi un problema per la democrazia?

«Draghi, per educazione e formazione, non ha alcuna vocazione da autocrate. Ma oltre le volontà personali contano le linee di tendenza della storia. Oggi le democrazie pluralistico-rappresentative sono minacciate non dal neo-fascismo (che è poco più di un'arma di distrazione di massa) o dal populismo (uno spauracchio gonfiato ad arte), ma dalla tecnocrazia. La competenza si sta mangiando la rappresentanza e nessuno sembra aver niente da dire».

 

 

 

Forza Italia oggi sembra avere più cose in comune con Italia Viva e Carlo Calenda che con Fdi. Non sarebbe più onesto il passaggio ad una legge proporzionale, con cui ognuno corre per conto proprio? Tanto, il giorno dopo il voto, chiunque si sente libero di allearsi con chi vuole...

«È vero, le coalizioni non hanno funzionato benissimo quando sono state al governo, ma il "liberi tutti" favorito dal proporzionale certo non ci darebbe maggiore stabilità. Vorrei poi capire quali sono i punti in comune tra Forza Italia e Italia Viva: il primo è un partito cristiano-liberale, il secondo (per quel che vale) un partito di sinistra riformista. Sono due famiglie politiche alternative».

Ci sarà ancora il centrodestra alle elezioni politiche?

«Ho sempre considerato il centrodestra un blocco sociale, prima che un'alleanza tra partiti. Leo Longanesi, ai tempi dell'egemonia della Democrazia cristiana, parlava della "destra sommersa". È il grande corpaccione moderato-conservatore che in Italia è sempre stato socialmente egemone, anche se culturalmente marginale e politicamente mal rappresentato. Berlusconi è stato il primo a renderlo un blocco politico organico e riconoscibile. Sarebbe strano se, per ragioni di sopravvivenza personale, fosse ora lui - come molti gli suggeriscono da sinistra - a favorirne la dissoluzione»

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