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Matteo Salvini, la scommessa su Mario Draghi: "Potere sospeso", ecco perché la Lega continuerà a sostenerlo

Antonio Socci
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«Che implicazioni ha la svolta autoritaria dello stato italiano? Tutto va secondo le procedure della democrazia, e alla fine ci sarà la ratifica parlamentare, esiste la libertà di stampa e di critica, ma bisogna dirlo: la sostanza è quella di una democrazia illiberale». Chi ha scritto queste cose a proposito del Green pass? Giorgio Agamben? Massimo Cacciari? Carlo Freccero? No. L'ultragovernista Giuliano Ferrara. Ha esagerato col paradosso. Ovviamente il Green pass può essere criticato, ma non è certo la morte della "democrazia liberale". In questi giorni pure Giorgio Agamben è tornato sull'argomento, in audizione al Senato, arrivando a dire: «È possibile che cittadini di una società che si pretende democratica si trovino in una situazione peggiore di quelli dell'Unione Sovietica di Stalin?». Un pensiero assurdo. Evidentemente si ignora cosa era il comunismo staliniano.

ESECUTIVO FORTE
Massimo Cacciari va oltre il Green pass: «Di fronte a "stati di emergenza" che si ripetono, e certamente si ripeteranno in futuro su scala ancora più larga, derivanti dal rapido mutare degli equilibri internazionali, dalla riconversione dell'apparato economico-produttivo, dalla "sfida ecologica", i principi dell'equilibrio tra legislativo ed esecutivo, della divisione dei poteri, del ruolo delle autonomie... sembrano diventare sempre più residui di un mondo di ieri. L'accentramento decisionale trova in queste "fisiologiche emergenze" non solo una spinta formidabile, ma, sembra, anche un'innegabile giustificazione. La delega all'esecutivo si fa prassi costante, e sempre più il momento della ratifica diviene formale. La delega all'esecutivo diviene delega perché esso legiferi tout court». Osservazioni sensate. Però Cacciari ritiene che non vengano colte dai partiti che si sarebbero «auto-disciolti in obbedienza alla cultura dominante». Dimentica che, nei giorni scorsi, Matteo Salvini ha sollevato proprio questo problema (a proposito della delega sulla riforma del catasto), venendo peraltro seppellito dal solito disprezzo dei media e degli altri partiti. Del resto sono questioni che ha sollevato anche il Segretario della Cgil Landini (senza ricevere lo stesso trattamento di Salvini). Ha dichiarato a Repubblica: «C'è un serio problema di metodo con Draghi: inaccettabile confrontarsi solo quando è stato già deciso tutto». È lo stesso problema "di metodo" posto da Salvini. Bisogna riconoscere, però, che Draghi non ha un atteggiamento arrogante. Ha subito cercato (e trovato) il dialogo con Salvini, come con i sindacati. Lui è una singolare sintesi di decisionismo tecnocratico e disponibilità democristiana. Ma il suo, votato da una maggioranza di unità nazionale, è un governo tecnico o politico? Il presidente Mattarella alla nascita lo definì «governo di alto profilo» determinato dall'emergenza pandemica in corso ed è la migliore definizione. In effetti è molto diverso dal governo Monti. I cosiddetti "governi tecnici" sono esperimenti del passato che volevano essere "la soluzione" e invece hanno aggravato il problema.

 

 

CORREZIONE DEL VOTO
Lorenzo Castellani, nel libro "L'ingranaggio del potere", del 2020, fa questa ricostruzione storica: «I regimi politici che chiamiamo democrazie liberali si sono progressivamente trasformati in un sistema sempre più complesso, e questa trasformazione ha visto aumentare lo spazio della tecnocrazia, fondata sul principio di competenza, a danno della politica rappresentativa, fondata sul principio democratico. Lo ha spiegato bene il giurista Sabino Cassese, secondo il quale nelle democrazie moderne esiste "un'area non rappresentativa" che, "esprimendo competenze, incarna un bisogno sempre più sentito nelle società contemporanee: quello di correggere la scelta del popolo con quella dei competenti». Il concetto di "correzione" del voto popolare tramite i "competenti" appare molto indigesto e sembra descrivere proprio il caso del governo Monti (peraltro i "competenti" in quel caso ebbero risultati disastrosi). Castellani aggiunge che «questo principio aristocratico -gerarchico convive con il principio democratico-rappresentativo di cui, negli ultimi decenni, ha progressivamente eroso significativi spazi». Il citato Sabino Cassese, nel libro "La democrazia e i suoi limiti", sottolinea che si tratta di «un tema complesso che diventerà sempre più fondamentale in futuro». E segnala, per esempio, la «continua tensione, particolarmente evidente nei rapporti tra politica e giustizia, ma presente anche in quelli tra politica e amministrazione». Cassese aggiunge che «la storia della democrazia è piena di tentativi degli organi rappresentativi di asservire quelli non rappresentativi». Ma giustamente non cita - a questo proposito- il caso italiano dove semmai viviamo da anni il rischio opposto.

 

 

SOVRANITÀ SOSPESA
Solitamente si ritiene che dal 1992 in Italia siano rimasti due poteri forti: la magistratura e la presidenza della Repubblica. In realtà si sono aggiunti l'Unione europea e i cosiddetti Mercati che sostanzialmente hanno dettato legge a Parlamento e governi. Si fa fatica a vedere in atto, in questi decenni, quella "sovranità" che per la nostra Costituzione "appartiene al popolo" (tramite i suoi rappresentanti eletti), tanto che, anche in questi giorni, c'è stato bisogno di ricordare che "sono le Costituzioni nazionali a legittimare l'esistenza dell'Unione Europea e del suo diritto e non può essere il contrario" (dichiarazioni di ieri degli eurodeputati Rinaldi e Zanni). Il vero europeismo è questo, non quello a cui dà voce la Von der Leyen. In tale situazione si può ipotizzare che l'uomo che ha saputo realizzare l'"eresia" QE (avendo contro l'opinione pubblica tedesca), oggi, con il suo governo, porti al pieno ritorno dello Stato italiano e a una nuova legittimazione di governo e Parlamento? Si può sperare che - pur essendo nato per l'emergenza sanitaria ed economica - l'esecutivo Draghi ricostruisca quell'equilibrio dei poteri che la nostra Costituzione ha disegnato eche, negli ultimi decenni, si è offuscato? Sì. Possiamo sperarlo. Ancor più leggendo - su Domani - un articolo in cui Rino Formica scrive l'esatto opposto: «La crisi dei partiti ha investito le istituzioni, ed è una crisi che si vorrebbe risolvere dicendo che non c'è più destra e sinistra ma c'è l'istituzione. Questo porta a una novità: le istituzioni si fanno partito politico. Lo stato diventa partito e per risolvere i conflitti che sono dentro la società reale deve dire che non c'è destra e sinistra. C'è lo stato. Ecco la pericolosa tentazione che vediamo oggi quando il governo e il suo presidente del Consiglio sostengono il superamento di destra e sinistra... E il governo è la direzione generale del partito-stato... Ma questo esperimento è applicabile al sistema italiano? Ritengo di no. Lo sarebbe solo con l'abrogazione della dialettica democratica del paese».

PAESE COMMISSARIATO
In realtà non è Draghi che sostiene il superamento di destra e sinistra e che abroga la dialettica democratica. La rappresentazione di Formica somiglia casomai all'Italia "commissariata" degli anni scorsi, fino al Covid. Quella che Draghi ha trovato. Il suo governo può rappresentare l'esatto contrario, cioè il ritorno dello Stato che ricostruisce le condizioni che poi permetteranno ai partiti di governare (dopo le elezioni) senza essere sopraffatti da altri poteri (mercati, Commissione europea, magistratura, burocrazia eccetera). È una scommessa audace. Il centrodestra di governo sta facendo precisamente questa scommessa. La strada per riportare l'Italia alla normalità è tortuosa e Draghi non può scoprire le sue carte (a Salvini ha detto: "fidati") perché sa che la partita, a Bruxelles, per riscrivere i parametri, è dura e complessa. Ma se non ci riesce lui chi può riuscirci? Si tratta di capire se può garantire meglio questo ritorno pieno dello Stato italiano e della nostra Costituzione dal Quirinale o da Palazzo Chigi. 

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