Mario Monti confessa: "Io candidato, lo voleva Angela Merkel". Dieci anni dopo, la verità sulla fine di Berlusconi
Intervistato sul Corriere della Sera di ieri, per otto domande Mario Monti fa ciò che gli riesce meglio. Accarezza il proprio ego ipertrofico, racconta di quando lui spiegava le cose ad Angela Merkel, di come nell'unico vero scontro che ebbe con la cancelliera, sul ruolo della Bce nella stabilizzazione degli spread, fu lui a spuntarla. Un'ansia revisionista che si spiega con la psicologia, più che con la politica: l'uomo soffre la popolarità e la forza di Mario Draghi e non perde occasione per dirci che lui era più bravo. Fosse un fumetto spunterebbe un enorme «Yawn», sonoro sbadiglio. Ma la nona domanda, l'ultima, è una voce dal sen fuggita che svela cose che il 78enne bocconiano ritiene evidentemente normali, e che però normali non sono. Gli viene chiesto se «è vero che fu Merkel a spingerlo a candidarsi alle elezioni del 2013». E lui, gonfio di autocompiacimento come un playboy di provincia, conferma e regala dettagli. «Nell'agosto del 2012», racconta, «feci una visita a Berlino e prima dell'incontro prendemmo un aperitivo sulla terrazza della cancelleria. Bevemmo acqua, mi pare». Ovviamente farci sapere che lui usa l'acqua come aperitivo non è una divagazione, ma serve a corroborare la sua immagine di leader sobrio.
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LO SVENTURATO RISPOSE
Chiusa la parentesi autopromozionale, prosegue: «Merkel mi prese con molta umanità. "Mario, cosa pensi di fare?", mi domandò. Le chiesi come la vedesse lei. Disse: "Finora io e altri colleghi europei abbiamo pensato che tu saresti il naturale successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. Ma ora io penso, e so che anche altri pensano, che dal punto di vista dell'Italia e dell'Europa sarebbe ancora più importante se tu potessi continuare a guidare il governo o far sì che in parlamento si formi una maggioranza in linea con la politica di riforme che hai iniziato"». L'intervista finisce qui, ma sappiamo che lo sventurato rispose. A quella conversazione seguirono infatti la creazione di Scelta civica, l'8,3% alle elezioni e la fine ingloriosa del partitino, presto ripudiato dal fondatore. E ora, grazie al peccato di hubris di Monti, abbiamo la certezza di ciò che era stato solo ipotizzato: l'allora presidente del consiglio si candidò su richiesta della Merkel e dei suoi «colleghi europei». I quali, apprendiamo sempre dalle parole dell'incontinente economista, sono abituati a discutere su chi debba essere il presidente della repubblica italiana, chi sarebbe il migliore capo del governo e quale programma dovrebbe avere. E non si limitano alle chiacchiere tra loro, ma intervengono direttamente, trattano con gli interessati, brigano. E trovano chi, invece di mandarli a quel Paese, obbedisce. Tutto normale? Forse no, se sinora Monti aveva negato ogni cosa. Nel febbraio del 2013, accusato di essere una pedina nelle mani dalla cancelliera, aveva respinto con disprezzo illazioni tanto basse, assicurando che «lei non interferisce nelle elezioni italiane né in quelle di altri Paesi». Stessa favola raccontata dalla Merkel nel dicembre del 2012: «Non posso entrare nella politica italiana e su chi possa candidarsi».
L'INVITO A NAPOLITANO
Ci sono voluti nove anni, ma alla fine la verità è arrivata. E rende ancora più plausibile quanto scritto dal Wall Street Journal il 30 dicembre del 2011, ovvero che nell'ottobre di quell'anno la cancelliera aveva violato «la regola non scritta che vieta a un Paese dell'Ue di intervenire nella politica interna di un altro membro». Aveva chiamato l'allora presidente Giorgio Napolitano e incoraggiato «gentilmente l'Italia a cambiare il suo primo ministro se Silvio Berlusconi non fosse riuscito a cambiare l'Italia». Notizia che gli uffici di Napolitano, va da sé, definirono falsa. Grazie all'egoriferito Monti, ora abbiamo la certezza che per la Merkel quella «regola non scritta» valeva zero. Se ne va lasciandoci il dubbio: quante altre volte, in questi sedici anni, ha provato a manovrare la politica italiana? Quante c'è riuscita?
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