Giancarlo Giorgetti, il vero rischio per la Lega: "Si sbagliano di grosso". Un messaggio ai nuovi arrivati
Dopo fiumi di inchiostro sul suo ruolo di eminenza grigia, decine di esegesi sul non detto e indiscrezioni sulla sua presunta longa manus persino a proposito del passo di lato di Luca Morisi (il guru dei social salviniani), ieri di sé stesso ha finalmente parlato proprio lui: Giancarlo Giorgetti. Lo ha fatto in un'assise di peso per il popolo del Carroccio - gli Stati generali del partito in Lombardia - e in modo netto. A partire da qui: «Non esiste la Lega di Giorgetti ma la Lega». Così il ministro dello Sviluppo economico, e uomo cardine della delegazione leghista al governo, ha voluto chiudere i rubinetti delle divagazioni sul Carroccio alle prese con una sfida insidiosa come quella delle Amministrative. A pochi giorni dalle urne - e contro chi ha interesse ad esasperare il dibattito interno frail leader e i governatori sul Green pass - la risposta del numero due non ha bisogno di sottotitoli: «Ci vengono addosso in tutti i modi, ci vogliono dividere, il copione è sempre lo stesso», ha tuonato dal palco. «Ma se ci chiamiamo Lega e in qualche modo ci rifacciamo alla Lega lombarda che univa le comunità sappiamo di avere un'altra missione». Quale? È incisa nel nome stesso. «Basta vedere sul dizionario: è un gruppo di persone che amano la propria terra e si mette assieme per fare il bene della propria gente. Questa è la definizione di Lega, che proprio una riunione di sindaci come questa esprime».
COMUNITÀ - Il riferimento diretto è alla platea dei 200 sindaci, del governatore Attilio Fontana e dei big (Alessandro Morelli, Nicola Molteni, Gianmarco Centinaio) riuniti dal segretario lombardo, Fabrizio Cecchetti. Ma è musica soprattutto per le orecchie di Matteo Salvini, che poco prima era intervenuto in collegamento insistendo sullo stesso concetto: «È trent' anni che provano a inzigare e a farci litigare», ha affermato il segretario, «ma la mia risposta sono un sorriso e due comizi in più. Più ci attaccano e inventano, più ci danno energia e compattezza». Da Varese insomma, sua città natale nonché centro di una sfida dal sapore identitario per il Carroccio del Nord (qui si corre con Matteo Bianchi contro l'uscente del Pd Davide Galimberti), Giorgetti ha rilanciato un messaggio di sintonia attorno alla leadership "nazionale" del segretario. Una guida politica che a suo avviso deve essere rispettata da tutti, all'interno di un partito che proprio a livello di disciplina «non è come gli altri». Ecco perché, ha avvertito il titolare del Mise, «se qualcuno, anche di quelli che adesso arrivano, entra in Lega e pensa che siamo come gli altri, si sbaglia». Un riferimento anche ai malpancisti (e ai fuoriusciti) condiviso a qualche centinaio di chilometri di distanza da un salviniano come Edoardo Rixi: «La Lega non ha bisogno di gente che la utilizza come un autobus» ha affermato dal gazebo di Savona. «Meglio 10 voti in meno o un eletto in meno, ma quelli che abbiamo devono portare avanti le idee con cui si presentano ai cittadini». Morale? «Nessuno viene obbligato a fare l'amministratore comunale, il deputato o il senatore...».
RISCHIO ASTENUTI - Tornando al nodo Amministrative, per Giorgetti la prima sfida per la coalizione si chiama astensionismo: «È tendenzialmente noto che penalizza più il centrodestra che il centrosinistra, è un fatto storico, consolidato». Quanto alle aspettative, l'asticella del numero due è tenuta scaramanticamente bassa: «Avremo vinto se avremo aumentato i sindaci. E perso se li avremo diminuiti. In politica è così». Una battuta poi è giunta su Luca Bernardo e le sue gaffe: «Sono episodi che aiutano a dare visibilità talvolta. Sicuramente adesso tutti i milanesi sanno chi è il candidato». A Bernardo comunque Giorgetti ha chiesto uno sforzo di ottimismo: «Deve credere non nel ballottaggio ma nella vittoria». Per un motivo "personale": «Ho fatto tante cose, ho fatto un po' di tutto», ha chiosato, «posso anche andare in pensione, come giustamente mi consiglia qualcuno, ma i miei ricordi più belli sono di quando ho fatto il sindaco».