Dario Franceschini, in segreto punta al Quirinale, ma Enrico Letta non gli perdona il tradimento con Matteo Renzi
«La vendetta di Franceschini», la chiamano nel Pd. Il diretto interessato ha smesso da mesi di intervenire sulle vicende del partito, concentrandosi sul proprio dicastero. E quando Dario Franceschini tace, di solito non è buon segno per chi guida i democratici. Anche perché lui, in privato, continua a parlare con tutti quelli che possono spostare gli equilibri, dentro e fuori al Pd: da Stefano Bonaccini a Matteo Renzi, sino ai capibastone del gruppone nella terra di mezzo del parlamento, che a febbraio promette di essere decisivo per l’elezione del capo dello Stato.
Da anni il 63enne ferrarese ex democristiano, leader della corrente Areadem, è protagonista di ogni rivoluzione al vertice del suo partito. È stato accanto a Pier Luigi Bersani e quindi a Enrico Letta, quando era capo del governo. Ha sterzato bruscamente per appoggiare Renzi, cosa che poi non gli impedito di sostenere Nicola Zingaretti. Quindi, dinanzi al fallimento del governatore laziale, è stato tra coloro che più hanno spinto su Letta, affinché tornasse dall’esilio parigino per prendere in mano la ditta. Si aspettava un po’ di riconoscenza dal nuovo segretario, ma non l’ha avuta.
Al contrario, a Franceschini è stato tolto il ruolo politico più importante: ai tempi di Zingaretti era lui il capo della delegazione del Pd al governo, con Letta l’incarico è passato al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che Franceschini cordialmente detesta. Silurato, insomma. Nel Pd spiegano che è «la paga per il tradimento del 2014», quando Franceschini passò da Letta a Renzi. Il ministro non l’ha presa bene, e mentre in pubblico parla di cinema e teatri, pesa le prossime mosse. La confusione sotto il cielo del Pd è grande, e ciò rende la situazione di Franceschini eccellente. L’attuale corrente di minoranza,Base riformista, cui appartengono Lorenzo Guerini e Luca Lotti, spinge per fare il congresso del partito, e dunque scegliere il prossimo segretario, nell’ottobre del 2022. Quindi prima delle prossime elezioni, se la legislatura durerà sino alla scadenza naturale.
Letta fa sapere che non se ne parla, perché le liste elettorali intende compilarle lui. La differenza la faranno i rapporti di forza interni, e i voti di Franceschini in assemblea nazionale, di regola, sono decisivi. Non è detto che i suoi disegni coincidano con quelli di Letta, anzi: il ministro della Cultura, oggi, ha rapporti assai migliori con Bonaccini che con il segretario. E sul governatore emiliano punta almeno metà del Pd, che vuole candidarlo contro Letta al congresso. Franceschini sponsor della scalata di Bonaccini? «È una possibilità», dicono da Base riformista, dove l’idea certo non dispiacerebbe.
Anche perché alla vittoria di Bonaccini seguirebbe il ridimensionamento dell’accordo con Giuseppe Conte e i Cinque Stelle: assieme sì, ma in un’alleanza che comprenda pure Renzi e la sua Italia Viva, oltre a Carlo Calenda. Del resto pochissimi, tra i democratici, credono che si possano vincere le elezioni politiche con il solo appoggio dei grillini e di Leu. Si capirà di più durante la partita per il Quirinale. Non è un mistero che il primo candidato di Franceschini sia lui stesso, ma prendere il posto di Sergio Mattarella sarebbe impresa ardua. Letta al momento non ha un’agenda chiara, anche perché dalla sinistra del suo partito c’è chi lo vuole convincere a votare Draghi, in modo da provocare il voto anticipato.
Renzi, al contrario, sa cosa vuole: portare sul Colle un candidato che non scateni la fine anticipata della legislatura, quindi diverso da Draghi, e se non sarà Mattarella, occorrerà tirarne fuori un altro dal cilindro. Nel Pd moltissimi, tra cui Franceschini, la pensano allo stesso modo. Se a febbraio si consolidasse un asse tra i due, Bonaccini avrebbe ottimi motivi per scaldarsi in vista del congresso,e Letta avrebbe valide ragioni per preoccuparsi.
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