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Matteo Salvini? Quante balle sul leghista: ecco perché sono Enrico Letta e Pd a far tremare il governo

Fausto Carioti
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Gira una fotografia distorta della situazione interna all'alleanza di governo. Raffigura un Matteo Salvini «inaffidabile» (parola di Enrico Letta), impegnato in «polemiche strumentali» (Giuseppe Conte), indeciso «se inseguire la Meloni o il bene del Paese» (Luigi Di Maio). Un leader che quando vota gli emendamenti sul "decreto Green pass" presentati dai Fratelli d'Italia compie un gesto «molto grave», perché «non può funzionare così» (Andrea Orlando). Secondo la vulgata, insomma, Mario Draghi avrebbe un problema, che si chiama Lega; rimosso questo, le cose si metterebbero a posto. Che aspetta dunque Salvini, l'intruso nella foto, a togliersi dall'inquadratura per andare all'opposizione? Non è solo una questione dipolemica tra partiti avversari che non sopportano la reciproca vicinanza: la stessa tesi fa da sfondo alle analisi pubblicate ogni giorno sulla grande maggioranza degli organi d'informazione. C'è qualcosa di grosso che non torna, però. Anzi, che manca proprio, ed è l'altra metà (abbondante) della storia.

 

Perché in questa ricostruzione partigiana si ignora ciò che gli stessi accusatori di Salvini stanno facendo contro Draghi e il governo. Azioni di destabilizzazione che quasi nessuno mette sulla bilancia, e i pochi che lo fanno tendono a comprenderle e minimizzarle. Come se l'alleanza che sorregge l'esecutivo fosse la Fattoria degli animali di George Orwell, nella quale il Pd e i suoi alleati sono più uguali degli altri, avendo il diritto di smarcarsi ogni volta che vogliono senza essere accusati di sfasciare il governo e l'Italia. Lo "stratega" Goffredo Bettini e il ministro del Lavoro Orlando, assieme al vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano, oltre a essere quelli che con più fervore spingono per il matrimonio con i Cinque Stelle di Conte, ritengono che questo non sia il loro governo e vogliono farlo saltare alla prima occasione. Come? Rimuovendo Draghi da palazzo Chigi per spedirlo al Quirinale, nella convinzione che a quel punto la legislatura sarebbe finita. 

 

Bettini lo ha detto proprio così, e lo stesso Letta non lo ha smentito con decisione, perché pure lui un pensierino ce lo sta facendo: aspetta di vedere come vanno le amministrative per decidere quale strada imboccare. Del resto, è lo stesso Letta che ha deciso a tavolino di spaccare la maggioranza trasformando l'approvazione del ddl Zan in uno scontro di civiltà, e che aveva provato a fare lo stesso con la legge per lo ius soli. Quanto ai grillini, a luglio hanno minacciato Draghi di andarsene se fosse passata la riforma della prescrizione che Marta Cartabia aveva scritto (e concordato con i loro ministri). L'altro giorno Conte ha fatto il bis, avvertendo che la cancellazione del reddito di cittadinanza decreterebbe «la rottura di un patto di lealtà», ossia la fine della presenza del M5S nella maggioranza. E Letta, sempre zitto. Nessuna di queste mosse, alcune delle quali veri e propri diktat, è stata giudicata come il frutto di leadership «inaffidabili» odi menti scriteriate che giocano con le istituzioni per difendere piccoli interessi. Un simile trattamento è riservato al solo Salvini, pure quando ritira tutti gli emendamenti della Lega e si accontenta di accodarsi a quelli di Fdi, sapendo bene che hanno zero probabilità di essere approvati. 

 

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