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Giancarlo Giorgetti, "non mi ricandido". Il sospetto sulle sue parole: mira ad avere più spazio di manovra?

Tommaso Montesano
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Non bastavano le contrapposizioni tra la "Lega di governo" e la "Lega di piazza". Con i botta e risposta tra i governatori e i vertici parlamentari da una parte e i deputati e i senatori "no green pass" dall'altra. Ad agitare il Carroccio, nelle ultime ore, è anche l'indiscrezione che riguarda Giancarlo Giorgetti, il plenipotenziario leghista al governo (è ministro dello Sviluppo economico). Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Foglio, Giorgetti avrebbe intenzione di chiudere con questa legislatura la sua esperienza con la Lega. «Non mi ricandido più, questo è il mio ultimo giro, non mi riconosco più nel progetto», sono le parole attribuite a Giorgetti. Dichiarazioni accolte con stupore da Matteo Salvini - «sono cazzate, non ci siamo mai sentiti così spesso come in questo periodo» - e il cui contenuto è stato informalmente smentito da fonti dello stesso Mise, senza tuttavia produrre una nota ufficiale. Secondo un'altra ricostruzione, a far circolare il virgolettato sarebbero stati i salviniani più ostili al ministro per screditare lo stesso Giorgetti. Insomma, un bel caos. Da qui l'innalzamento della tensione nel giorno del via alla festa di Cervia, con l'intervento del vicesegretario Lorenzo Fontana (oggi tocca a Salvini).

 

 

 

Governisti

Giorgetti ci sarà lunedì, ma intanto le parole pubblicate dal Foglio hanno scosso il partito, visto che arrivano dopo la divaricazione tra le due anime del Carroccio. Quella governativa e quella che mercoledì scorso è scesa in piazza del Popolo, a Roma, nella manifestazione contro il green pass. Contro il "lasciapassare" hanno manifestato parlamentari di primo piano della Lega (tra gli altri, Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Armando Siri e Simone Pillon). Gruppo al quale si è contrapposta l'ala istituzionale del partito. Ovvero il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari («io non ci sono andato e ritengo che i miei colleghi abbiano sbagliato ad andare. Non era la piazza della Lega») e, soprattutto, i governatori. Che in nome della lotta all'emergenza sanitaria hanno da tempo stabilito un filo diretto con Palazzo Chigi. Ecco, così, in rapida successione, i rimbrotti di Massimilano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia - «non è la mia piazza. È importante non alimentare contrapposizioni forti sulla pandemia» - e, ieri, di Luca Zaia. «Un discorso è chiudere legittimamente sull'obbligatorietà del vaccino, come fa il segretario Salvini. Altro è farsi portatori di una linea in cui io assolutamente non mi identifico. E mi rifiuto di pensare che sia quella del partito», ha detto il governatore del Veneto al Corriere della Sera. Parole molto simili a quelle attribuite a Giorgetti, che appunto non si riconoscerebbe più nel «progetto» della Lega.

 

 

 

La strategia 

I mal di pancia attribuiti al ministro dello Sviluppo economico sono numerosi. L'ultimo per la sottoscrizione, da parte del Carroccio, del manifesto sovranista della destra europea, siglato pure da Fratelli d'Italia. In quell'occasione, era il 5 luglio, Giorgetti fece filtrare la sua irritazione per la scelta di Salvini di firmare il documento: «Dico la verità, non ho fatto a tempo a leggerlo..». E anche ieri, dopo la faticosa intesa nella maggioranza sulla giustizia, il numero uno del Mise non ha mancato di marcare la sua vicinanza al premier, ostentando equidistanza: «Di fondamentale lì c'è soltanto Mario Draghi. Alla fine la chiude sempre lui. E per fortuna che è così». Probabile che il virgolettato apparso sul Foglio rientri in questa strategia: entrare ufficialmente in "quota Draghi" per tenersi le mani libere. Alle elezioni si vedrà, ma intanto l'immagine di una Lega divisa non aiuta Salvini.

 

 

 

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