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Giorgia Meloni e la campagna acquisti in Parlamento, Forza Italia sbotta: fin dove si spinge

Salvatore Dama
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Ufficialmente Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non rispondono alle "provocazioni" di Giorgia Meloni. Il clima nel centrodestra è già avvelenato. E, soprattutto dal lato del leader leghista, si prova a fare evaporare la nuvola tossica degli ultimi giorni senza aggiungere altri elementi di incomprensione tra alleati. «Dai, passerà, non è questo che mina l'unità della nostra coalizione», dice Salvini riguardo alla Meloni. Ma, specialmente da Forza Italia, l'uscita della leader di Fratelli d'Italia viene definita una «incomprensibile rappresaglia». I fatti sono noti. A fare deflagrare la coalizione è stata la votazione dei consiglieri di amministrazione Rai da parte del Parlamento. Lega e Forza Italia hanno fatto causa comune, facendo leva sui propri numeri e lasciando fuori dal board il rappresentante di FdI. Da quel momento è stato un crescendo di polemiche. Fino al picco di ieri.

 

 

TUTTI IN SILENZIO
Quando Meloni ha assestato due colpi agli alleati, prendendo di mira soprattutto Fi. La leader della destra ha rimesso in discussione la candidatura (azzurra) di Roberto Occhiuto in Calabria. Contestualmente Fdi ha "soffiato" un senatore ai forzisti. E non uno qualsiasi: Lucio Malan. «Io credo nel centrodestra, ma quello che voglio capire è se ci credono anche gli altri», si è sfogata Meloni in conferenza stampa. Piazzando poi la mina che ha fatto sobbalzare gli alleati: «La candidatura di Occhiuto alla presidenza della Calabria è frutto di una di quelle regole che sono saltate e quindi la valutazione va fatta su quale sia il candidato più competitivo». Inutile cercare reazioni in Fi e Lega. La consegna è quella del silenzio e di evitare di alimentare polemiche. Però un po' di stupore filtra per come stiano degenerando i rapporti. Che erano già difficili per via del diverso posizionamento nei riguardi del governo Draghi: Lega e Forza Italia sono in maggioranza, Fratelli d'Italia all'opposizione, unica forza rimasta in minoranza. Dunque, in ambienti lego-forzisti, si usa il termine "rappresaglia", con un aggettivo - "militare" -, motivata dalla sola delusione di aver lasciato una "poltrona in Rai". Sempre gli azzurri, però, fanno notare come la pistola della Meloni sia scarica: in Calabria, riferiscono, i sondaggi sorridono a Occhiuto anche in presenza di un secondo candidato di centrodestra. L'attuale capogruppo forzista alla Camera non ne farebbe un dramma, insomma.

 

 

DEFEZIONI
Quanto a Malan è una defezione che fa male, invece. Lui stesso parla di un addio doloroso, ma inevitabile: «Ho deciso di lasciare Forza Italia nelle ultime 48 ore. Ho aderito a Fratelli d'Italia con convinzione. Non è stato facile lasciare un partito con cui ho condiviso gioie e dolori, tante battaglie», dice l'ex questore anziano forzista all'AdnKronos. Malan ha ricevuto la telefonata del coordinatore nazionale forzista Antonio Tajani, anche lui rimasto spiazzato come tutti gli azzurri, big e peones. Ma non c'è stato nulla da fare per convincerlo a ritornare sui suoi passi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, spiega Malan, valdese e tra i più agguerriti difensori della famiglia, «è stata la questione della libertà religiosa». Libero Malan di andare via, ma sono i modi e i tempi che infastidiscono. Primo, perché c'era un patto "tra gentiluomini" nel centrodestra per non rubarsi parlamentari e classe dirigente a vicenda. Secondo, perché l'addio arriva "ad orologeria", nello stesso giorno in cui Meloni mette in forse il patto calabro. Un uno-due difficile da digerire. Quando alla Calabria, dal versante Lega-Fi si fa notare che «gli accordi sulle candidature erano stati fatti in tempi non sospetti», non contemplavano anche le poltrone Rai e non c'è alcun motivo per cui adesso dovrebbero essere rivisti. Sul tema risponde anche Salvini. Pubblicamente. Sostenendo che l'unità del centrodestra non può essere messa in discussione da una vicenda laterale come quella della tv pubblica: «Mi rifiuto di pensare che una poltrona in Rai valga il centrodestra e il cambiamento anche perché il pluralismo sarà garantito con o senza posto in consiglio di amministrazione», dice il segretario leghista. Eppure non tutto sembra compromesso. Se nel giorno in cui le relazioni tocca il punto più basso, si arriva a un passo dal chiudere la candidatura a sindaco di Bologna, l'ultimo tassello che mancava al puzzle delle Amministrative. Sarà il civico Fabio Battistini il prescelto. Nome gradito a Fratelli d'Italia e alla Lega, che ha superato la "concorrenza" politica del candidato proposto da Forza Italia. E cioè il senatore azzurro Andrea Cangini. 

 

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