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Giorgia Meloni, il terrore della leader FdI: Salvini vuole sostituirla con Draghi?

Giorgia Meloni

Alessandro Giuli
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La spaccatura nel centrodestra è sempre più profonda e fragorosa. Da una parte i forzaleghisti di governo, dall'altra i Fratelli d'Italia d'opposizione che li accusano d'intelligenza con una larga maggioranza pigliatutto dentro e fuori il Parlamento. Ieri si è aggiunto alla vicenda un altro capitolo tempestoso: i parlamentari di Giorgia Meloni hanno definito «semplicemente una farsa» la commissione d’inchiesta sulla pandemia che la Camera sta per varare. Motivo: i partiti stretti intorno a Mario Draghi hanno introdotto il divieto di indagare sui fatti avvenuti oltre il 30 gennaio 2020. Un «insabbiamento»,denunciano da FdI,finalizzato a «nascondere agli italiani quanto avvenuto negli ultimi 18 mesi, evitando che si faccia luce su eventuali responsabilità dei principali attori del governo Conte e dell’attuale» (così il capogruppo a Montecitorio, Francesco Lollobrigida).

 

La Lega ha replicato a brutto muso con il deputato Eugenio Zoffili: «…inutili e sterili polemiche» da parte di chi «aveva offerto sostegno alla nascita della commissione». Fermo restando che sbarrare il passo alle investigazioni parlamentari sul limitare della proclamazione dello stato d’emergenza ha qualcosa di stravagante,il punto della questione va forse individuato altrove. Sembrano ormai saltati gli schemi che tenevano in piedi i vincoli di alleanza; e non soltanto in Rai, dove l’opposizione di destra si è vista negare il diritto di tribuna nel cda (diritto non scritto ma sempre riconosciuto), ma anche sulle candidature per le amministrative da perfezionare (FdI sta minacciando almeno due proposte solitarie, in Calabria e a Bologna) e su quelle già vidimate.

 

SCENARIO - La Meloni ha cercato finché possibile di circoscrivere il perimetro delle polemiche alla “maggioranza” draghiana, concentrando sul premier e sul Quirinale le aspettative (deluse) di tutela nei confronti di un minoranza peraltro prevalente sugli altri partiti nei sondaggi di opinione. Ma è evidente che il bersaglio grosso è presto diventato Matteo Salvini, il quale nelle premesse dovrebbe essere il leader di coalizione e perciò anche il garante dei patti stabiliti e di quelli futuri. Ma che cosa resta di questo impianto? Salvini insiste nel negare la cosa in sé, cercando forse di riposizionare la controversia pubblica sui binari dell’ordinaria dialettica: «Con FdI non c’è alcuna tensione». Dal punto di vista degli interessi generali del centrodestra, tuttavia, il sottotesto implicito nel conflitto in corso è assai più preoccupante dei casi singoli su cui le forze stanno battagliando. A destra serpeggia il sospetto abbastanza fondato che né Berlusconi né Salvini abbiano intenzione di lasciare a Giorgia il primato sulla coalizione (di qui l’idea di sommarsi federandosi),ma soprattutto che vogliano mantenere Draghi al suo posto più a lungo possibile. Anche dopo le elezioni del 2023? Immaginare uno scenario ancora così lontano è un esercizio complicato, fatto sta che l’opinione prevalente nella maggioranza forza leghista è grosso modo questa: quando hai un fuoriclasse del genere a Palazzo Chigi, o lo lasci lì tentando di sostenerlo con un blocco unitario che sopravanzi il fronte giallorosso nei numeri e nell’agenda; oppure costruisci un percorso di natura semi-presidenzialista per lasciargli poteri d’indirizzo dal Quirinale, dove l’ex banchiere centrale europeo potrebbe salire anche dopo il 2022, nel caso in cui venisse rieletto il riluttante Sergio Mattarella.

 

GLI ELETTORI - Comunque la si voglia leggere, tale eventualità aleggia sotto gli occhi della Meloni come una perpetuazione del quadro politico gran coalizionista ora esistente, un sostanziale tradimento del sogno comune di avere in Draghi un lord protettore quirinalizio con la prospettiva di giocarsela insieme nelle urne (tra uno o due anni) per l’altra posta in palio: il premierato. Il clima, già di suo poco promettente, viene oltretutto esulcerato dalle solite irriducibilità caratteriali. E gli elettori che dicono? Se potessero parlare, oltreché prefigurare una valanga di voti per il centrodestra, probabilmente esigerebbero una maggiore concordia, meno improvvisazione, un calendario più chiaro nelle consultazioni fra i leader, insomma un metodo di lavoro comune a prova di divisioni tra maggioranza e opposizione. Ma potrebbe essere tardi.

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