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M5s, rumors in Parlamento: fuori dal governo per recuperare consensi? "Noi come FdI"

Salvatore Dama
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Figli di un dio minore. Trattati come parvenu. Come ospiti, in un governo e in una coalizione dove, in realtà, sono la forza di maggioranza relativa. È la situazione del Movimento 5 Stelle. Giorno dopo giorno cresce il malessere nei confronti di Mario Draghi. E della sufficienza con cui il presidente del Consiglio tratta i protagonisti e i temi grillini. Il caso più emblematico è quello della Cassa Depositi e Prestiti, dove il premier ha piazzato il fidato Dario Scannapieco, togliendo Fabrizio Palermo, voluto dai grillini, che sono stati incapaci di difenderlo. Stesso discorso per Gianfranco Battisti di Ferrovie, anch' egli in quota 5Stelle, pure lui vittima dello spoil system. Uno schema analogo a quello che ha portato alla rimozione del prefetto Gennaro Vecchione dalla direzione del Dis, uomo legato all'ex premier Giuseppe Conte, che da qualche mese sta tentando di assumere la leadership del Movimento. Qui sopra Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio dei giallorossi, e leader in pectore del M5S. Più in alto il ministro Stefano Cingolani, titolare della Transizione ecologica, dicastero tanto voluto da Beppe Grillo «Che ci stiamo a fare in un governo così?». Il Fatto, giornale amico, ieri ha raccolto lo sfogo di molti pentastellati, generali e soldati semplici, che vivono con malessere crescente la permanenza in un esecutivo dove sono trattati come ospiti non graditi.

 

 

 

Incognita Conte

C'è una difficoltà oggettiva. Perché il M5s si trova da mesi ingessato in un difficile percorso di transizione. Giuseppe Conte non ha ancora le stellette per poter trattare con Palazzo Chigi da leader del Movimento. Vito Crimi, il reggente, non si sa se è decaduto o meno. Davide Casaleggio batte cassa ed è sul piede di guerra. I governisti alla Luigi Di Maio fanno i pesci in barile per rimanere incollati alla poltrona. Beppe Grillo è evaporato, colpito nel privato dalla vicenda giudiziaria che ha coinvolto suo figlio Ciro, indagato per stupro. Insomma: pur volendo tenere in considerazione i desideri grillini, Mario Draghi con chi deve parlare? Poi ci sono gli schiaffi che arrivano anche da chi era considerato amico. Per esempio Stefano Cingolani. Voluto dal fondatore in un ministero, quello della Transizione ecologica, che l'ex comico si è vantato di aver inventato da solo. Ebbene, proprio Cingolani ha mandato al macero anni di battaglie ambientaliste del Movimento, proponendo di avviare una riflessione sugli inceneritori. E la giustizia? Il Guardasigilli Marta Cartabia è pronta a fare a pezzi il lavoro del suo predecessore Alfonso Bonafede. Sul tavolo c’è la riforma della prescrizione, l’ennesima, e il divieto per le procure di proporre appello in caso di assoluzione dell’imputato. Tutti temi che fanno indignare i grillini. Insomma, volano sberle. Ieri i 5s hanno provato a sorridere della mancata abolizione del codice degli appalti, rivendicando il successo: «Era un nostro obiettivo in vista dell'approvazione del decreto semplificazioni. Ed è stato centrato». Però non basta.

 

 

 

Timore delle urne

Già, ma l’alternativa qual è? Far cadere l’esecutivo e andare al voto. Sulla carta i Cinquestelle hanno i numeri per farlo. Sono determinanti. Ma siamo alla vigilia del semestre bianco e un colpo di mano non avrebbe senso. Per fare cosa, poi: i grillini temono le urne come la peste. Perché i sondaggi li danno come quarta forza in campo (erano la prima), perderebbero una caterva di seggi, anche per effetto della riforma del taglio dei parlamentari, da loro voluta. Allora a quel punto l’irrilevanza sarebbe certificata anche dai numeri, oltre che dalla politica. E si naviga a vista. Al momento l’obiettivo minimo è arrivare all’elezione del Quirinale, valutando a quel punto se staccare la spina o meno a un governo in cui i grillini non riescono a incidere con i loro temi. Però bisogna vedere come ci arriverà il M5s a quella scadenza. I contrasti tra governisti e descamisados si fanno sempre più acerrimi. E oramai nessuno esclude più una scissione, specie se Conte non si spiccia a prendere in mano la baracca. Anche se, a dirla tutta, non dipende da lui.

 

 

 

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