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Immigrazione, Luciana Lamorgese chiede aiuto alle Ong: come fermare gli sbarchi?

Pietro De Leo
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Non proprio un vicolo cieco, ma ci somiglia molto. L'Italia si prepara a fronteggiare un'ingente ondata migratoria e non ci sono, al momento, molti strumenti per farlo. Almeno questo è quanto emerso dall'audizione del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ieri, presso il Comitato parlamentare Schengen. La titolare del Viminale ha annunciato che la prossima settimana riceverà le Ong impegnate nei soccorsi in mare nel Mediterraneo, così come, ha spiegato, aveva fatto anche tempo addietro. Difficile capire ora che tipo di effetto sortirà questo incontro, considerando che le Ong uniscono alla loro attività diretta anche una certa spinta ideologica (spesso sono entrate a piedi uniti nel dibattito italiano sul tema) che si traduce in un vero e proprio "pull factor", ossia fattore incoraggiante per le partenze: in sostanza, sono loro che accompagnano i migranti sulle coste italiane.

 

 

All'annuncio, ha replicato direttamente Giorgia Meloni: «Caro ministro, le do un consiglio: provi a incontrare anche gli italiani. Il ministro ci dica subito se ha intenzione di difendere i confini o condannarci ad essere il campo profughi d'Europa» . Lamorgese ha lamentato un sostanziale inceppamento dell'ingranaggio europeo: «Perseguiamo con spirito costruttivo ma anche con determinazione l'evoluzione del quadro Ue senza perdere di vista gli interessi del nostro Paese. Il negoziato è in corso, si tratta di un progetto ambizioso che dovrebbe instaurare un quadro sostenibile e duraturo di gestione delle politiche migratorie e di asilo». Sin qui, la prospettiva. Ma la realtà è ben dolorosa: «La Commissione ha elaborato un pacchetto di misure ampio e diversificato, ma crediamo che l'attuale formulazione non possa ritenersi soddisfacente per l'Italia».

 

 

E ancora: «C'è convergenza sulla necessità di un rilancio della cooperazione quale nodo strategico, obiettivo che l'Europa può perseguire sotto il profilo della sussidiarietà dei vari stati membri. Serve uno sforzo straordinario dell'Ue per rilanciare il dialogo politico e l'accordo di partenariato verso i Paesi terzi». Insomma, siamo agli enunciati e alle evocazioni, con poco altro. Tipo il viaggio di oggi assieme alla Commissaria Ue agli affari interni, Ylva Johansson, in Tunisia, il secondo Paese di innesco della rotta mediterranea centrale, dopo la Libia. Al centro del tavolo con il presidente della Repubblica e il premier, ovviamente, il dossier migratorio. Ma la realtà è che una soluzione di sistema non c'è. L'Europa latita e si definisce, nel frattempo, la differenza di linea italiana rispetto al governo spagnolo, ben più fermo nella difesa del confine a Ceuta. E dunque lo scenario operativo e politico, per Lamorgese peggiora. E serpeggia un certo disagio da parte sua per il pressing della Lega (che legittimamente rilancia il contenimento degli sbarchi da sempre punto qualificante), specie in vista delle prossime settimane, specie sul fronte libico. A questo proposito, ha detto Lamorgese sempre ieri: «È innegabile che registriamo un aumento dei flussi». E peraltro pesano ancora le parole pronunciate qualche settimana fa dal segretario di Frontex, Fabrice Leggeri, il quale ha preventivato un flusso «importante» di migranti verso l'Italia direttamente proporzionale all'abbandono delle misure anti-Covid. Quello che potrebbe accadere, il nostro Paese l'ha già vissuto lo scorso anno: i territori che provano a ripartire dopo la pandemia, specie al Sud, che devono sobbarcarsi la redistribuzione temporanea degli sbarcati, anche nei luoghi turistici. Il costo economico (e in termini di disagio per le popolazioni locali) sarebbe non indifferente.

 

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