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Ivan Scalfarotto smaschera Enrico Letta: "Identico a Nicola Zingaretti, anche lui vuole legarsi al M5s"

Fausto Carioti
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Dentro Italia viva c'è più di quanto appaia a un primo sguardo. Il partito di Matteo Renzi si sta dando una propria identità, diversa da quella delle altre sigle di sinistra, e non si tira indietro se c'è da incrociare le lame con Roberto Speranza. Cosa che capita di frequente, soprattutto quando si parla dell'abolizione del coprifuoco. «Nella scorsa primavera siamo stati i primi a dire, tra attacchi e contestazioni, che la sicurezza sanitaria non poteva cancellare la necessità di tenere in vita l'economia», rivendica Ivan Scalfarotto, 55 anni, sottosegretario all'Interno. Oggi, le richieste dei renziani si sommano a quelle portate avanti dal centrodestra. «Arrivati a questo punto, con gli effetti benefici della campagna vaccinale e l'approssimarsi dell'estate, dobbiamo metterci nell'ottica di superare le limitazioni orarie e dare alle nostre imprese la possibilità di lavorare e di produrre».

 

 

 

Resta il fatto che le vaccinazioni non decollano. La media resta sotto le 500mila al giorno. La prossima estate rischia di assomigliare a quella dello scorso anno.

«In realtà il piano vaccinale procede a pieno regime, nonostante le iniziali difficoltà nelle forniture e il fatto che molte regioni, fino all'avvento del generale Figliuolo, tendevano a prendere decisioni dissonanti dalle direttive nazionali, come la Puglia, o dimostrando disfunzioni organizzative preoccupanti, come la Lombardia».

Nel governo Draghi tutto è in funzione dei soldi europei, inclusa la riforma della giustizia del ministro Cartabia. Che proprio per questo si annuncia minimale: accelerazioni dei processi civili laddove si può, qualche semplificazione. Servirà molto di più per far tornare la fiducia nel sistema giudiziario.

«La riforma della giustizia non potrà essere minimale, perché sarà un asse portante del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Senza di essa non riusciremo a investire, e probabilmente nemmeno a ottenere, le risorse di Next Generation EU. Detto questo, è vero che abbiamo davanti il compito, non semplice, di ricostruire la fiducia nel sistema giudiziario, intaccata da una serie di vicende che hanno sollevato preoccupazione nell'opinione pubblica».

Dopo aver contestato a lungo la prescrizione "modello Bonafede" non ne parlate più. La sua abolizione non rientra tra le riforme che deve fare il ministro Cartabia?

«La chiedevamo e continuiamo a chiederla. Quando c'era chi si diceva equidistante tra garantismo e giustizialismo abbiamo fatto notare che il primo sta scritto nella Costituzione, mentre il secondo ne costituisce la negazione. Il Conte 2 è finito sulla giustizia, lasciandoci nella palude del "fine processo mai", dalla quale si deve uscire».

Uno dei referendum dei radicali sarà dedicato proprio all'abrogazione della legge sulla prescrizione voluta dal guardasigilli grillino. La Lega e il centrodestra ci saranno. Voi?

«Vedremo i testi, aspettiamo di leggerli con interesse. Le iniziative referendarie sulla giustizia potrebbero costituire una spinta ulteriore a procedere nella giusta direzione».

Avete fatto cadere il governo Conte anche perché voleva accentrare a palazzo Chigi, nelle mani di pochi, la gestione dei soldi del Recovery plan. È la stessa cosa che ha fatto poi Draghi. Dov' è la differenza?

«Innanzi tutto al volante adesso c'è Mario Draghi, e la differenza l'abbiamo vista nell'interlocuzione con la Commissione, che ha consentito di sdoganare il Pnrr e di assicurare all'Italia i fondi di Next Generation EU, che non erano affatto garantiti. Dopodiché, faccio notare che nel Pnrr di Draghi alle riforme sono dedicate 40 pagine su 334, mentre nel vecchio piano di Conte ce n'era solo una...».

Ma da Draghi, teorico del "debito buono" e del "debito cattivo", lei non si aspettava l'abolizione del reddito di cittadinanza?

«Le cronache riportano quasi quotidianamente casi di abusi, è chiaro che questa misura non sta funzionando. Le condizioni politiche per abrogarlo subito non credo ci siano, ma non ho dubbi che questo governo stia dalla parte del lavoro, non dei sussidi. Basta guardare al commissariamento di Anpal: l'esperienza dei navigator e dell'assistenzialismo mi pare arrivata al capolinea».

 

 

 

Dopo aver fatto cadere il governo Conte avete sfruttato ogni occasione per mettere i bastoni tra le ruote all'alleanza elettorale tra Pd e M5S. È questa la vostra missione? Impedire la nascita del nuovo Ulivo giallorosso?

«L'alleanza tra Pd e M5S sembra essere naufragata da sola, come si è visto a Roma. Io sono uno di quelli che non si arrende all'idea che le forze progressiste per tornare vincenti debbano farsi fagocitare dal populismo. Se i Cinque stelle entreranno nel Partito socialista europeo, grazie anche alla facilitazione del Pd, sarà un altro dei numerosi motivi per cui potrò dirmi soddisfatto di aver aderito a Italia Viva».

Come sindaco di Bologna candidate alle primarie di centrosinistra Isabella Conti, prima cittadina di San Lazzaro. Enrico Letta non l'ha accettata come candidato unitario. Ve lo aspettavate questo rifiuto?

«Di certo non ci aspettavamo che Letta, sostituiti Delrio e Marcucci, candidasse in tutta Italia soltanto degli uomini. In Italia Viva la metà esatta del gruppo dirigente, a tutti i livelli, è donna. È una caratteristica identitaria e irrinunciabile del nostro partito».

Parliamoci chiaro: quando Nicola Zingaretti guidava il Pd, la presenza di un partito di centrosinistra moderato e riformista aveva senso. Adesso quel lavoro lo sta facendo Letta, anche per bruciarvi il terreno sotto i piedi. A voi cosa resta?

«Io non vedo differenze tra Zingaretti e Letta, che ha promesso una "nuova e affascinante avventura" insieme a Giuseppe Conte: la linea è chiara ed è sempre quella. Per questo penso che una forza liberal-democratica, europeista, non statalista e non assistenzialista, che rappresenti l'Italia che ha fiducia in se stessa, sia indispensabile».

Resta il fatto che i sondaggi continuano a darvi sotto al 3%. Dove state sbagliando?

«A guardare i sondaggi Londra sarebbe ancora nella Ue e Hillary Clinton qualche settimana fa avrebbe potuto cominciare il suo secondo mandato. Ora non c'è da occuparsi di sondaggi, ma di tirar fuori l'Italia dalla pandemia e dalla crisi. Dei sondaggi e delle percentuali ci preoccuperemo nel 2023».

Lei è sottosegretario all'Interno. Dall'inizio dell'anno a oggi sono sbarcati in Italia 13.131 immigrati. Nello stesso periodo del 2020, governo giallorosso, erano stati 4.237. Nel 2019, governo gialloverde, 1.129. Cos' è che non va?

«La pandemia ha avuto un impatto terribile sulla già debole economia dei Paesi africani, il che ha aumentato la pressione migratoria verso l'Europa. A questo punto, la risposta deve essere globale».

Che è quello che sentiamo da anni. Cosa c'è di diverso stavolta?

«C'è che il governo Draghi può giocarsi un'autorevolezza di cui non godevamo da decenni, e questa autorevolezza dovrà essere spesa anche nei confronti dell'Europa, che purtroppo fa ancora orecchie da mercante, e con i Paesi della sponda nord del Mediterraneo, che la ministra Lamorgese ha visitato più volte».

La legge sulla cittadinanza che vorreste voi è basata sullo ius culturae. Facilitare la concessione del passaporto italiano non aumenta il rischio che arrivino più immigrati?

«Accostare ius culturae e immigrazione non ha alcun senso. Lo ius culturae riguarda ragazzi che nella loro vita non hanno mai visto o non hanno memoria di alcun Paese se non dell'Italia. Ragazzi che parlano italiano con i nostri accenti regionali, che hanno studiato soltanto nelle nostre scuole e che magari vincono medaglie per le nostre nazionali».

 

 

 

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