Giuseppe Conte "non conta un c***o". Dagospia, retroscena clamoroso: così Luigi Di Maio lo sta fregando
"Una sola certezza: Giuseppe Conte non conta un c***o". Dagospia non usa francesismi per descrivere la "palude grillina". Non c'entra solo la scalata dell'ex premier al Movimento interrotta per beghe legali e di statuto. Il problema è politico, e legato al "suo nemico più intimo", Luigi Di Maio, intenzionato a "sabotatore l'accordo Pd-M5s alle elezioni comunali" sui Conte contava invece come prima pietra per la costruzione del prossimo cartello elettorale. Primo test, primo fallimento: a Roma Di Maio si è schierato ufficialmente per la ricandidatura della sindaca Virginia Raggi, quando Conte aveva garantito ai dem Goffredo Bettini ed Enrico Letta che avrebbe fatto fare un passo indietro alla sindaca dando di fatto via libera a una candidatura "unitaria", quella dell'ex segretario Pd Nicola Zingaretti.
Fallisce Conte e saltano i piani del Pd, costretti a "ripiegare" sull'ex ministro dell'Economia Roberta Gualtieri e con la candidatura parallela di Carlo Calenda che minaccia di disperdere i voti del centrosinistra a favore del prossimo candidato del centrodestra e della stessa Raggi, che potrebbe così ambire ad arrivare al ballottaggio. Ma la partita romana va letta su un piano più ampio, quello delle candidature da "spartire" tra dem e 5 Stelle.
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"Giuseppi ormai panato e fritto ha dovuto rinculare - è l'analisi di Dagospia - , buttandosi tardivamente su Virgy, sconfessando ancora una volta la sua leadership formato stracchino: moscia e spalmabile". E ora che ne sarà delle promesse fatte per Torino (la base non vuole l'accordo col Pd) e Napoli. Qui il presidente della Camera Roberto Fico, intuito la malaparata, ha già riposto nel cassetto i suoi sogni da sindaco.
Sullo sfondo, resta la lotta di potere dentro il Movimento tra Conte e Di Maio. Il ministro degli Esteri, spiega Dago, "è ancora convinto che sia meglio avere un Movimento coeso al 10% del pastrocchione contiano al 15. Senza contare che almeno un terzo dei parlamentari cinquestelle sono ancora fedeli a Di Maio, mentre un 20/25% sbanda dalle parti di Casaleggio-Di Battista". "L'ex bibitaro - è la caustica chiosa di Dagospia -, che sarà anche naif ma non è fesso, ha capito di doversi legare mani e piedi al governo Draghi e spingere a testa bassa per il suo successo. Se SuperMario va avanti fino al 2023, lui resta ministro degli Esteri (e non è poco), contando sul primo gruppo parlamentare, e rimanda a data da destinarsi le elezioni politiche che dovrebbero certificare l'ascesa di Conte e del suo partito. Non è un caso che Letta abbia ascoltato più volte Luigino".