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Umberto Bossi, ecco come trascorre la sua vecchiaia dopo i due ictus

Renato Farina
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Siamo consapevoli che il titolo farà stringere il pugno destro a Umberto Bossi per tirarcelo sul plesso solare. Non gli dà fastidio il sostantivo ma l'aggettivo. Passi per vecchiaia: a settembre ne compie 80, e da quando ha 62 anni non gli è stato risparmiato niente, gli manca solo di fulminarsi con l'asciugacapelli. Vecchiaia sì, faticosa per gli acciacchi anche, ma tranquilla proprio no. Il fatto è che tutti noi vorremmo essere come lui, perennemente combattivi, con molti guai, ma con la stessa faccia di chi è contento di aver vissuto e di stare ancora al mondo. 

Insomma, guardarlo regala tranquillità, non solo ai leghisti di varie generazioni, ma a chiunque coltivi ancora qualche ideale e non se lo sia fatto crio conservare come i miliardari americani surgelati nella tomba. La fotografia spedita ieri da Umberto Bossi agli amici su WhatsApp con gli auguri di Pasqua. Nel riquadro, un francobollo britannico con il "Senatùr" Si osservino le sue fotografie. Quella qui accanto l'ha spedita ieri agli amici su WhatsApp con gli auguri di Pasqua. L'altra, quella in prima pagina, se l'è fatta scattare il primo marzo, appena rientrato nel suo ufficio di Roma, aggiungendo il motto: «La forza sia con voi!», pronto per nuove guerre stellari. Dalle sue parti si direbbe: «L'è matt!». Invece no, è solo vivo, non accetta di lasciarsi piazzare nella sala dove si affumicano i salmoni ancorché selvaggi. 

 

DA GEMONIO AL PARLAMENTO
Nel febbraio del 2019, il ripetersi dell'ictus che nel 2004 lo aveva trasferito nell'oltretomba per fortuna con ritorno, aveva indotti i più a considerarlo pietosamente un rudere che è già tanto che respira, da incensare come una reliquia, che si spezza a trasportarla come un Budda di porcellana. Per questo non aveva più auto e autista. E siamo al primo di marzo, e finalmente convince il figlio Renzo ad accompagnarlo da Gemonio al Parlamento, dove è ancora e sempre Senatùr. Sconsigliato da tutti, senza vaccinazione, soggetto a rischio, reduce da un dolorosissimo fuoco di sant' Antonio, ma eccolo di ritorno al lavoro. Colleghi e giornalisti, commessi e consiglieri si fanno intorno per salutarlo. La salute prima di tutto. Come stai, eccetera. Lui scarta questa domanda. Nessuna nostalgia del tempo in cui comandava lui. Zero recriminazioni. Compatimento riservatelo a vostra sorella. 

È sempre girato verso il futuro, non ha nessuna intenzione di farsi mummificare da vivo, né di fare il vecchio saggio con il calumet del coglione tra le labbra. Trascrivo qualche riga dell'intervista di Lanfranco Palazzolo. Domanda: Come sta? Risposta: «La nuova situazione con il governo Draghi richiede di mettere al primo posto il lavoro. Ricordandosi che il Nord non può camminare se il Sud non si sviluppa. Oggi non ci sono imprese al Sud, e se non ci sono imprese non vengono versati i contributi all'Inps, che paga al Sud pensioni per ragioni umanitarie anche a chi non ha versato nulla. Tutto questo ricade sui lavoratori del Nord». Domanda: D'accordo con la Lega al governo, e con Giorgetti in un ministero importante, lo Sviluppo economico? Risposta: «Certo. Occorre un coordinamento Nord-Sud per il lavoro. Il Nord non può permettersi un Sud senza sviluppo. Per questo necessitano collegamenti, treni, porti: creare una catena da Nord, dove si imposti il processo produttivo, a Sud, dove lo si completi». Domanda: Sì, ma come sta lei? Risposta: «Ho passato un momento doloroso: il fuoco di Sant' Antonio che non è una bella cosa». 

 

***

Che fa a Gemonio, nella sua casa sopra Varese? Riceve amici, con la necessaria prudenza, ma distanze non riesce a mantenerle. La politica è faccia, contatto, tatto, bicchiere da passare in osteria con il nocino e la Coca Cola, sedili della macchina bruciati dai tizzoni di sigaro Garibaldi. Con il Covid e le conseguenze dell'ictus tutto si fa complicato. Visite contingentate: l'ex ministro Roberto Castelli, il cofondatore della Lega, Giuseppe Leoni. Giorgetti di tanto in tanto. Tremonti. Qualcuno arriva di nascosto, che non è una bella cosa, non è mica un lebbroso. Berlusconi lo chiama. Sente tanta gente al telefono. Incredibile, ma tramite ponte con la sua collaboratrice al Senato, Nicoletta Maggi, gli arrivano le comunicazioni di diciotto, ventenni, leghisti e no, cui sembra di parlare con un mito, ma lui è più vivo e inquieto di loro, con gli ideali vibranti come il tremolio della mano, che balla meno del cuore. Ecco, scrive poesie. Negli ultimi tempi sta ricostruendo i primi passi della Lega, la sua volontà di fondare questo movimento coincide con una ribellione poetica al dominio dello Stato centrale. Si può dire che la Lega è stata seminata nel solco delle sue meditazioni in versi. Rigorosamente in dialetto non milanese ma lombardo (la Koinè padano-alpina, che si traslittera diversamente dal meneghino di Carlo Porta). Ecco, ora è tornato a scrivere poesie. 

SCIURA MARIA
Ce ne sono di bellissime. La più politica è "Tera» con una erre sola, e sta per terra. C'è il desiderio che il passare del tempo non getti via il suo essere intrisa delle lacrime e del sudore della sua gente. Però se devo citare dei versi sono quelli della "Sciura Maria», la signora Maria. È dedicata a una donna da lui davvero incontrata, una che ha fatto la serva tutta la vita, ora malata di cancro al seno, e lei che se lo palpa tutto mangiato dal male. Il medico le ha detto brutalmente: inoperabile. Ma lei non è una bestia, è la sciura Maria, sono una cristiana anche io! 

«Sòta la man 
La tò teta mangiada, 
Cunsciada me cent' an fa. 
Te dumandà stremìa: 
"Ma uperì mia? 
L'è già trop avanzà?" 
Cinquantot' an 
O cinquantanooeuv. 
Mai spusada. 
Serva in cà. 
Sül letin 
Te ghe seat ti, 
Sciura Maria» 

A Londra hanno stampato francobolli validi per la Royal Mail con il volto di Bossi accanto a quello della Regina. Al British Museum è esposta anche la banconota, made in Padania con il suo profilo. Tranquilla vecchiaia per quella banconota, forse. Bossi non lo si può musealizzare, neanche da vecchio.

 

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