Marianna Madia grida al maschilismo? Ha fatto carriera nel Pd grazie a Renzi e Delrio
Ah, brutta bestia l'ideologia: rischia di annebbiarti la vista e farti perdere la memoria. Dopo una sconfitta poi diventa un'attenuante comoda che non ti consente di riconoscere i demeriti tuoi e di apprezzare i meriti altrui. È sempre colpa di un "ismo" se le cose sono andate storte Ne è testimonianza Marianna Madia, deputata del Pd e candidata capogruppo alla Camera, uscita con le ossa rotte dalle sfida al femminile con Debora Serracchiani per quel ruolo: lo scontro è finito 66 a 24. Di fronte a numeri così netti si dovrebbe avere l'onestà di ammettere «l'altra candidata era più forte» o l'umiltà di dire «ha vinto la migliore» o almeno il buon gusto di fare gli auguri alla vincitrice senza se e senza ma. A maggior ragione se si è colleghe di partito. Ma così non è andata. In un'intervista a Repubblica la Madia, commentando la sconfitta, scaglia palle di fuoco contro un partito di cui lo stesso ex segretario Zingaretti aveva detto di vergognarsi. L'aspetto curioso tuttavia è che, alla fine di una competizione tutta rosa fatta proprio per dimostrare l'apertura del Pd al mondo femminile, la Madia che fa? Dà la colpa al maschilismo. Lei è stata accusata di passare da una corrente del Pd all'altra? Bugie, risponde, figlie del «maschilismo» che «non riesce a tollerare che una donna possa non appartenere ad alcuna area organizzata».
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PREGIUDIZI
Lei ha assunto una posizione pregiudiziale contro la Serracchiani e ai più la cosa è sembrata il capriccio di una persona che non voleva perdere? È sempre colpa del maschilismo, replica lei, di quel «classico atteggiamento paternalistico, spesso tipicamente maschile, di chi pensa che se due donne discutono sono isteriche, se lo fanno due uomini sono in ballo i principi». Ma allora ce li spieghi questi principi, onorevole Quando le vengono chiesti, tuttavia, la Madia sforna supercazzole: occorre, avverte, «fare delle battaglie dialettiche in grado di aprire una breccia rispetto a dinamiche sclerotizzate». In che senso? Forse nel senso che, come aveva detto giorni fa, «la leadership femminile non può dissociarsi dal combattere in ogni istante per colmare il vuoto democratico che ipocrisie e verità sottratte alla discussione stanno scavando verso, se non ci ribelliamo, un punto di non ritorno». Boh! Nichi Vendola, ti prego, esci da quel corpo! Insieme alla coerenza di corrente, anche la chiarezza non pare il punto forte della Madia. E meno male che è stata il ministro alla semplificazione. L'ira funesta della deputata dem contro il «risultato già scritto» del voto conferma in realtà due cose: in primo luogo, la cronica incapacità delle donne, ancor più in politica, di fare squadra. Parlano di lotte di genere, di neofemminismo militante, fanno appelli tipo "donne di tutto il mondo, unitevi" ma, alla fine della fiera, non riescono a cooperare neppure se sono compagne di partito. Altroché women power. Qua è già tanto se riescono a non mandarsi a quel paese. E poi la Madia, con certe affermazioni, dimostra di avere la memoria molto corta. Lei attacca il maschilismo e, a proposito della Serracchiani, evoca una «cooptazione mascherata» da parte del partito, ossia una designazione voluta dai maggiorenti del Pd. Ma parla proprio lei che deve parte della sua carriera a leader e uomini dem che hanno creduto nelle sue capacità? Le facciamo un piccolo promemoria. Nel 2008 la Madia viene scelta dall'allora segretario del Pd Veltroni come candidata alla Camera, nonostante la sua autodichiarata «inesperienza politica».
DA RENZI A DELRIO
Nel 2014 Renzi la sceglie come ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione, peraltro in un momento in cui lei è all'ottavo mese di gravidanza, dando così un messaggio positivo, tutt' altro che paternalistico: si può essere mamme e insieme donne impegnate ad alti livelli in politica. Nel 2016 Gentiloni la riconferma ministro, nel 2018 Renzi le affida la candidatura in uno dei collegi più importanti di Roma, nel quale la spunta. Ora Graziano Delrio le ha chiesto di candidarsi a capogruppo della Camera, dopo il via libera di Letta alle donne come figure apicali del partito in Parlamento. Tutti maschi, anche grazie ai quali la Madia è cresciuta e dai quali in alcuni casi è stata cooptata (e intendiamo la cooptazione come una prassi normale, e spesso positiva, in un partito). E allora, esattamente, la Madia di che diavolo di maschilismo sta parlando?
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