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Mario Draghi promette, il governo non fa: è peggio di prima, i progetti del premier sono rimasti sulla carta

 Mario Draghi

Sandro Iacometti
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Aveva promesso di non fare promesse. E forse non era una cattiva idea. Anche perché non ascoltiamo altro da quando è iniziata la pandemia. Poi, però, sin dal suo discorso d'insediamento ne ha fatte eccome. E gli italiani, sfiammato l'entusiasmo iniziale, stanno cominciando a fare quello che lo stesso Mario Draghi gli ha chiesto: giudicare sulla base dei fatti. Certo, è passato poco più di un mese, non un anno, il virus è ancora fuori controllo, l’eredità di Conte pesa come un macigno, i soldi da distribuire scarseggiano. Epperò, forse sbagliando, molti si aspettavano un rapido cambio di passo, una svolta repentina, un guizzo. E invece siamo ancora qui, a chiederci perché non ci sono le dosi dei vaccini, fino a quando i nostri ragazzi dovranno fare lezione nella propria cameretta, in che modo partite Iva e piccole imprese potranno evitare il fallimento, quando si potrà tornare a viaggiare e ad uscire.

 

 

 

RISTORI

«Le aspettative non mi pesano. Mi auguro che le future delusioni non siano uguali all’entusiasmo che c’è oggi. E’ il minimo che mi aspetto», ha detto Draghi lo scorso 19 marzo, presentando il dl Sostegni. Ebbene, non serve aspettare per misurare la delusione con cui il settore dei servizi ha accolto il piano di aiuti destinato a tenere in vita le attività che non possono fatturare a causa delle misure anti-Covid. Già l’attesa è stata inaccettabile. E, va detto, non è tutta colpa di Conte. I soldi erano stati promessi a dicembre, a metà gennaio, con la velocità di una lumaca, è arrivato lo scostamento di bilancio. Poi la crisi di governo ci ha messo lo zampino. Ma a metà febbraio, quando l’ex governatore di Bankitalia si è insediato, i soldi erano lì, pronti per essere distribuiti. Il decreto è arrivato oltre un mese dopo. E il risultato? L’allargamento della platea e il nuovo metodo di calcolo ha prodotto un livello medio dei ristori che rasenta la beffa: le imprese riceveranno una quota delle perdite avute nel 2020 che va dall’1,7 al 5%, in base alle dimensioni. «Più soldi a tutti il più in fretta possibile», ha promesso Draghi presentando il provvedimento.

SCUOLA

E che dire della scuola? Doveva essere il cavallo di battaglia. Ancor prima di mettere le foto di famiglia sulla scrivania di Palazzo Chigi Draghi aveva annunciato che nessuno studente avrebbe più dovuto rinunciare ad un minuto di lezione in presenza. «Dobbiamo tornare rapidamente agli orari normali e fare il possibile per recuperare le ore di didattica perse lo scorso anno», erano gli impegni. Poi, con la stretta sui criteri per definire i colori delle regioni e l’esplosione delle zone rosse, è successo che in classe non sono andati più neanche i più giovani, fino ad ora salvaguardati. Aspettiamo il prossimo decreto per vedere se la promessa di riportare i ragazzi in aula dopo Pasqua sarà rispettata.

 

 

 

CHIUSURE

Il tema è direttamente legato a quello delle chiusure. Basta con l’inutile severità di Conte, Draghi farà di tutto per far tornare il Paese alla vita, si diceva. Lo stesso premier aveva spiegato che i cittadini non sarebbero più stati trattati come bestiame, che «tutti saranno informati con sufficiente anticipo dei cambiamenti» e che l’obiettivo è «permettere al più presto un ritorno alla normalità». Eppure, gli italiani si ritrovano tutti i fine settimana ad attendere il verdetto del ministro della Salute, rimasto saldamente al suo posto per gli inspiegabili meriti ottenuti sul campo, per sapere se il lunedì potranno andare al lavoro, a scuola, al ristorante o a fare una passeggiata. E con il cambio dei requisiti il semaforo non fa che segnare rosso, anche quando tutti gli indicatori sembrano in discesa. Colpa dei numeri, continuano a ripetere tutti nel governo, esattamente come prima. Persino sul Recovery, su cui Draghi ha fatto sapere fin da subito di avere gli attributi quadrati, scegliendosi uno ad uno tutti i ministri chiave per mettere in atto il Piano di ripresa, il vascello sembra che inizi ad imbarcare acqua. Passata l’euforia del superbanchiere alla guida, siamo di nuovo costretti a correre contro il tempo per tentare di non perdere il treno.

VACCINI

Ma il fallimento più grande è quello sulla partita a cui è veramente appeso il nostro futuro: il vaccino. Qui Draghi era stato chiarissimo. «La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente», aveva detto. E per far questo «abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. La velocità è essenziale». Quello che è successo, purtroppo, lo sappiamo tutti. Non solo, malgrado la voce grossa che il premier continua a fare in Europa, non abbiamo ottenuto le quantità sufficienti (e non possiamo, chissà perché, neanche acquistare il siero russo), ma quelle poche fiale di cui siamo in possesso vengono somministrate alla rinfusa alla prima categoria che si presenta dichiarando di svolgere un servizio essenziale. Il piano, tanto per ricordarlo, era di «potenziare» il numero di immunizzazioni (fino a 500mila al giorno) e di «privilegiare le persone più fragili e le categorie a rischio».

 

 

 

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