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DiMartedì, Nicola Zingaretti: "Le mie dimissioni? Non una resa, ma un atto fecondo". In studio lo prendono tutti in giro

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Le dimissioni dalla segreteria del Pd? "Non una resa, ma un atto fecondo". Parola di Nicola Zingaretti, che va in studio da Giovanni Floris a DiMartedì su La7 per spiegare la sua scelta e lascia tutti un po' spiazzati e storditi. Antonio Polito del Corriere della Sera lo mette in difficoltà: "Avete avuto un grosso problema politico, dicevate o Conte o elezioni e non avete ottenuto né l'una né l'altra cosa. Lei forse per evitare una discussione su questo tema se n'è andato parlando di vergogna per le correnti. Lei non ha neanche parlato all'ultima direzione che ha eletto Enrico Letta, non credo che gli iscritti del Pd debbano essere eletti così". 

 

 

 

 

 

Zingaretti però tira dritto: "Mi sono accorto che per riunire un campo alternativo alle destre c'era bisogno di uno choc, il segretario Letta è stato eletto su una linea politica di un Pd forte e di una grande alleanza, un nuovo centrosinistra che è esattamente quello per cui mi battevo. Non è stata una resa ma un atto fecondo". "Ma qual erano le correnti che lei ha denunciato?", incalza Polito. "C'era un problema sulla leadership", riconosce infine il governatore del Lazio. Traduzione: il problema era lui, non il Pd. 

 

 

 

 


"Ma magari sarebbe andato bene anche lei se avesse dato certi posti", provoca Floris. "Io ho rischiato - svicola Zinga - ma abbiamo vinto tutti, perché oggi c'è un ottimo segretario con una linea politica che io condivido in pieno. Ho rischiato, però ho vinto anche questa volta". Contento lui, contenti tutti. E a chi come Massimo Cappellini di Repubblica lo ha accusato di non aver rinnovato il partito come sta facendo (o vuole fare) Letta, replica un po' stizzito: "Ho dato priorità all'unità del Partito, quando l'ho  preso in mano nel 2018 era un partito morto, sconfitto e diviso".

 

 


 

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