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Enrico Letta segretario? Gli elettori del Pd volevano Stefano Bonaccini: il sondaggio

Elisa Calessi
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Nel giorno in cui Enrico Letta torna a Roma, nella sua casa al quartiere Testaccio, per un'ultima riflessione prima di sciogliere (oggi) la riserva e dire se accetterà di prendere in mano il Pd, arriva l'endorsement di Nicola Zingaretti. Il segretario dimissionario, dopo lo sfogo del giorno dell'addio con quell'anatema generale («mi vergogno del Pd»), torna, su Facebook, a spiegare le ragioni della sua scelta. Ma soprattutto a "benedire" l'indicazione che ormai viene da tutte le anime del Pd, sia pure con sfumature e retropensieri diversi. «Sono convinto che la soluzione più forte ed autorevole per prendere il testimone della segreteria sia Enrico Letta. La sua forza e autorevolezza sono la migliore garanzia per un rilancio della nostra sfida di grande partito popolare, vicino alle persone e non alle polemiche. Promotore di un progetto per l'Italia e l'Europa e baricentro di qualsiasi alternativa alle destre. Tutto il sistema politico italiano sta ridefinendosi. Il Pd con Letta definirà un suo profilo adeguato e competitivo».

 

 

 

Il nodo del Congresso

Nel post, Zingaretti ritorna su questi anni da segretario, ripercorrendo la strada fatta dopo il 18% delle Politiche, ma anche, da ultimo il «lungo e strisciante lavorio distruttivo» che «stava allontanando il Pd dalla realtà». E che «non c'entra niente il pluralismo o la collegialità». Per questo «non si poteva andare così». Apre, poi, alla possibilità di un congresso, ma tematico, cioè dove si discuta di idee, non di leadership. Che è il punto di caduta (Base Riformista chiedeva un congresso entro l'anno) che potrebbe portare, domenica, a eleggere Letta pressoché all'unanimità. «Dobbiamo contribuire e sostenere il governo Draghi, ricostruire una nostra visione e progetto comune in un mondo totalmente cambiato, riaprire una grande discussione con un congresso politico possibile grazie alle modifiche che abbiamo apportato allo statuto». Discutere della visione, anche dell'alleanza con il M5S (che è il vero spartiacque tra l'attuale maggioranza e le minoranze). Ma senza mettere in discussione il segretario appena eletto. Tutti con Letta, dunque. Per forza, per interesse, per convinzione. Come spesso è accaduto nella storia del Pd nei momenti più complicati. Ma è una tregua che può risultare, alla lunga, peggio della guerra, se non scioglie i veri nodi. E sono in tanti, in queste ore, ad avvertire il pericolo. Per esempio Arturo Parisi, ormai fuori dall'agone, ma attento conoscitore delle dinamiche interne al Pd: «Le persone contano. Ma per quel che fanno e per la direzione che prendono». Non è chiaro, spiegava all'Adnkronos, se al centro della prossima assemblea «ci sia la semplice sostituzione di una persona con un'altra o il cambiamento della linea politica». Se è solo la prima, è difficile che la tregua duri a lungo.

 

 

 

Missione rischiosa

Anche perché il vento non è detto che spinga nella direzione di Letta. Prova ne è un sondaggio Emg fatto per Agorà, su Rai Tre. Secondo questa analisi Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, è al primo posto nella classifica di quanti verrebbero visti come leader del Pd. Ben il 24% lo vorrebbe come nuovo segretario, al secondo posto è Andrea Orlando con il 21%, al terzo posto il segretario dimissionario Zingaretti con il 17%. Seguono Enrico Letta (14%), Dario Franceschini (5%), Debora Serracchiani (3%), Roberta Pinotti (2%) e Lorenzo Guerini (1%).

 

 

 

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