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Enrico Letta papabile segretario: se il Pd delle quote rosa candida ancora un uomo (forse a ragione)

 Zingaretti e Letta nel Pd

Lo richiamo dalla Francia dopo averlo precipitato nel fango, gli danno formalmente carta bianca, ma cominciano già a criticarlo: il difficile rapporto del Dem con il vecchio abitatore di palazzo Chigi

Francesco Specchia
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Enrico non è mai stato sereno. E’ dal 2015 - anno in cui è diventato accademico e direttorone della Scuola di Affari Internazionali dello SciencePo di Parigi- che Enrico Letta, a chi gli suggeriva di fare da nocchiero al Pd perennemente in burrasca, vibrava dalla tentazione, ma rispondeva, sempre, fieramente e spesso in francese: “J’attends qu’ils m’appellent, aspetto che mi chiamino loro...”. Alla fine, diamine, ha avuto ragione lui.

Dopo sei anni, gli stessi oligarchi dem che l’avevano abbandonato -solo Civati gli andò in soccorso- nel fango del renzismo sfrenato, oggi richiamano Letta come un Mosè che dovrebbe traghettare il partito alle Primarie del 2023, facendosi largo fra le acque delle correnti, dei casini di Napoli, Torino e Calabria, degli scazzi con i 5 Stelle. Oggi Letta, contattato da Franceschini e  Gentiloni -forse gli unici che davvero stima- e benedetto dall’uscente Zinga (“per l’immagine che ha internazionale e nazionale, è di sicuro molto autorevole”) si è preso altre ore per decidere. E ha posto delle condizioni che lo preservino dall’essere triturato dalle correnti, perché la prima volta sei un puro, la seconda sei un fesso. Intendiamoci, Letta è persona pregiata. Ma “nel breve periodo in cui sono stato presidente del Consiglio” -come dice lui- nonostante la buona volontà, non è stato un fulmine di guerra: non è riuscito ad accogliere le istanze europee espresse nei suoi libri e nel buon lavoro da ministro delle politiche comunitarie e ministro dell’Industria; non ha realizzato le riforme; s’è invischiato nella burocrazia; ha avuto un problema con l’elusione fiscale della Idem  come ministro dello Sport alle cui dimissioni contribuì proprio questo giornale. Ciononostante, l’autorevolezza di Letta è indiscutibile. Ha solo 54 anni, la Ue è la sua casa, le sue relazioni internazionali rappresentano una sicurezza per interloquire ad armi pari con Draghi. Anzi, direi che oggi Letta sta al Pd proprio come Draghi sta all’Italia: lo chiamano per raccogliere i cocci degli altri, e riaggiustare con dignità il giocattolo. E, soprattutto nel Pd, oggi, non c’è di meglio. L’idea lettiana di “Ditta” riformista, moderata, vicina ai cattolici, sta nella linea della condivisione. Quando, membro del Comitato nazionale, si candidò segretario, nel 2007 disse: “Vorrei fare in modo che il nuovo partito sia costruito un po’ come l'enciclopedia Wikipedia, un po' come un quadro di Van Gogh. Come con Wikipedia, anche nel Pd ognuno delle centinaia di migliaia di partecipanti deve portare il proprio contributo, le proprie competenze, che in certi campi sono di sicuro maggiori delle mie e di quelle dei leader del centrosinistra. E, come i quadri di Van Gogh, il nuovo partito deve avere tinte forti: un giallo che sia giallo, un blu che sia blu”. E, allora, dov’è il problema?

 Impeto cromatico a parte, Letta avrà a che fare con un Pd balcanizzato, oramai quarto (sondaggio Swg) dopo M5s e Fdi, con molti dei suoi componenti pronti a piantargli un altro coltello nelle scapole. Per esempio, Andrea Romano di Base riformista, gli ex renziani, dice: “E’ stato una figura di assoluto prestigio nel mondo democratico, ma noi non dobbiamo eleggere un salvatore della patria, ma una figura che accompagni il Pd al congresso”. E quell’ “è stato” la dice tutta. L’orfiniano Francesco Verducci aggiunge: “Letta è autorevolissimo, ma prima viene lo schema, serve un segretario unitario”. Come se Enrico fosse divisivo. Infine, il vicepresidente dei senatori Dem Gianni Pittella: “Enrico è bravo, ma dobbiamo dare una sterzata, un segnale. Ci vorrebbe una donna”. Ecco, è vero. Dopo le sfuriate per la necessità delle quote rosa nei ministeri, il Pd sceglie ancora una volta un uomo. Eppure, “ci vuole una donna”, Letta non va bene. “Può farsi crescere la barba, ma non le tette”, dicono i fan di Enrico. Eppure, il Pd scivola sulla solita buccia del sessismo, ancor più grave se si pensa alle strombazzate battaglie paritarie. Per conto nostro, nel partito non esistono, ancora, donne dirigenti all’altezza dell’ex premier nel reggere le briglie; a parte Anna Finocchiaro che però non ne possiede lo standing internazionale e oramai è fuori dai giochi. Prima ancora che il richiamato Letta decida il suo destino, le mani avanti messe dagli ottimati del partito ingabbiano, come al solito, le buone intenzioni…

 

 

 

 

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