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Mario Draghi, il discorso al Senato per la fiducia: "Come nel Dopoguerra. Governo europeista, euro irreversibile". Il riferimento a Salvini e Meloni

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"Il governo farà le riforme ma siamo consci dell'emergenza. Dobbiamo occuparci di chi soffre adesso o è costretto a chiudere la propria attività". Mario Draghi fa la prima promessa: al Senato, nel suo discorso per chiedere la fiducia al Parlamento, il neo-premier punta tutto sul Covid e la doppia emergenza, sanitaria ed economica. I primi minuti sono scanditi dagli applausi di buona parte di Palazzo Madama. Il primo, quando ammette "mai c'è stato, nella mia lunga vita professionale, un momento di emozione così intensa e di responsabilità così ampia". Il secondo, forse inatteso, quando ringrazia "il mio predecessore Giuseppe Conte che ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia". Un ringraziamento interrotto dagli applausi dei 5 Stelle e inframezzato dagli ululati e dai buuu che si sollevano dal fronte del centrodestra (che nel Conte bis era tutto convintamente all'opposizione).

 

 

 

"Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità. 

"Nei momenti più difficili della nostra storia, l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili. Perché prima di ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza. Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato". 
 

 

 

Draghi preannuncia l'orizzonte temporale del suo governo: "La durata dei governi in Italia è stata mediamente breve ma ciò non ha impedito, in momenti anche drammatici della vita della nazione, di compiere scelte decisive per il futuro dei nostri figli e nipoti. Conta la qualità delle decisioni, conta il coraggio delle visioni, non contano i giorni. Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo". Il paragone è con il Dopoguerra, la necessità di "avviare una Nuova Ricostruzione". "L’Italia si risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e lavoro".

 

 

 

Il pensiero del premier va da un lato ai giovani ("Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura"), dall'altro ai due cardini del suo programma: "Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori". Quindi quella che sembra una tirata per la giacchetta a Matteo Salvini e un ceffone alle possibili aperture "ad hoc" di Giorgia Meloni:  "Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere. Siamo una grande potenza economica e culturale. Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato, che altri ci invidiano.  

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