Luca Ricolfi contro Giuseppe Conte: "Miracolato dal Covid, senza pandemia sarebbe già scomparso. E ha fatto un disastro"
Il più pesante e documentato atto d'accusa nei confronti dell'esecutivo sulla gestione del Covid-19 non porta la firma di esponenti dell'opposizione, ma di un sociologo che da anni mette il dito nelle piaghe dell'Italia. Luca Ricolfi, docente di Analisi dei Dati all'Università di Torino, editorialista per numerose testate e attualmente in forza al Messaggero, nonché fondatore e presidente della Fondazione David Hume, è dal 14 gennaio in libreria con la sua ultima fatica, "La notte delle ninfee - Come si malgoverna un'epidemia" (La Nave di Teseo). Sono 150 pagine in cui viene spiegato tutto quello che si sarebbe potuto fare per limitare l'impatto del virus e che l'Italia, a differenza di altri Paesi, non ha fatto. Perché ha deciso di fare un libro che è un atto d'accusa così forte contro il governo? «A metà novembre, mi sono accorto di un fatto per me stupefacente: la maggior parte dei miei amici e colleghi, e la maggioranza degli italiani, erano convinti che la seconda ondata fosse inevitabile. Dato che questa credenza non solo è falsa, ma è una concausa della crisi, ho ritenuto fosse giusto smontarla prima che produca altri danni».
In che senso credere nell'inevitabilità della seconda ondata è una concausa della crisi?
«È semplice: se credi questo, abbassi la guardia, perché contro il fato è inutile combattere. E in questi mesi quasi tutti, anche nel mondo dell'informazione, hanno abbassato il livello di vigilanza verso l'attività (anzi l'inattività) del governo. La seconda ondata è anche il risultato di questo abbaglio collettivo».
La giustificazione principale del governo è che tutti i Paesi Occidentali sono nella nostra situazione, se non peggio
«Niente di più falso. Le società avanzate, con istituzioni paragonabili alle nostre (dunque escludendo dittature, Paesi poveri e Paesi ed ex-comunisti), sono 29, di cui 20 in Europa. Su 29 ben 10 (di cui 4 in Europa: Irlanda, Norvegia, Finlandia, Danimarca) hanno evitato la seconda ondata, e almeno 9 stanno evitando la terza. Quanto al paragone con gli altri Paesi, dall'inizio della pandemia siamo al secondo posto (dopo il Belgio) per numero di morti per abitanti. Né le cose vanno molto meglio in questo inizio di 2021: se consideriamo solo i decessi di gennaio, sono 24 (su 29) i paesi che hanno meno morti di noi».
Cosa avremmo potuto fare di diverso?
«Una decina di cose, che gli studiosi indipendenti, ad esempio quelli di Lettera 150 e quelli della Fondazione Hume, hanno disperatamente e inutilmente chiesto fin dalla fine di marzo. Cito solo le più importanti: tamponi di massa, contact tracing efficiente, Covid hotel per le quarantene, controllo dei voli e delle frontiere, riorganizzazione della medicina territoriale, rafforzamento del trasporto pubblico, messa in sicurezza delle scuole (classi piccole e dispositivi di controllo dell'umidità). E poi la regola fondamentale: se sei costretto a fare un lockdown (il che è sempre un certificato di fallimento dell'azione preventiva), devi farlo subito, duro e tempestivo. Noi invece siamo intervenuti e inasprendo le misure gradualmente. Così le ninfee dello stagno si sono moltiplicate troppo, soffocando la vita dello stagno».
Non ha citato l'aumento dei posti in terapia intensiva
«Non è una dimenticanza. Se si fosse fatto tutto il resto, non ci sarebbe stato bisogno di aumentare i posti in terapia intensiva, perché i contagiati sarebbero stati molti di meno, e la maggior parte dei malati sarebbe stata curata con successo a casa, secondo i protocolli informali spontaneamente emersi fin dai primi mesi della pandemia, grazie ai (pochi) medici che, come il dott. Luigi Cavanna, hanno avuto il coraggio di curare i loro pazienti a casa».
La pandemia sembra gestita alla giornata, sbaglio?
«Ha ragione, se si riferisce ai marchingegni delle restrizioni, come i colori giallo-arancio-rosso. Senza considerare che i criteri di valutazione del rischio sono sballati».
In che senso?
«In due sensi. Primo, le soglie di allarme sono troppo alte (come si fa classificare gialla una regione con un valore di Rt pari a 1.2 o 1.25?). Secondo, la stella polare delle autorità sanitarie è la preservazione del sistema sanitario nazionale, anziché la minimizzazione dei contagiati. Un errore clamoroso, che altri paesi non hanno commesso».
C'è qualcosa che avremmo potuto tenere aperto e abbiamo chiuso e viceversa?
«Una risposta categorica è impossibile. Non esistono studi in grado di quantificare in modo rigoroso gli effetti delle varie misure. La mia impressione è che, avendo quasi sempre accettato un numero di contagiati troppo alto, quel che avremmo potuto tenere aperto (e invece abbiamo chiuso) è ben poco, e si riduce alle attività culturali, dove - se ci si organizza per bene e per tempo - è possibile tenere il distanziamento e controllare l'umidità (con qualche investimento in macchinari, ovviamente). Un punto su cui Vittorio Sgarbi ha sempre avuto ragione».
Secondo i suoi studi è possibile convivere con il virus?
«Sì, è possibilissimo, tanto è vero che un Paese su tre ci convive senza drammi. Ma occorrono alcune condizioni di base: un numero di infetti molto contenuto (meglio se inferiore all'uno per 1000), un sistema di test e di tracciamento funzionante, una popolazione che rispetta le regole, un governo-custode dello stagno, che interviene appena le ninfee cominciano a essere troppe».
Lei è un professore: le giovani generazioni stanno subendo un danno irreparabile?
«Sì, ma minore del danno cognitivo e culturale che, nell'indifferenza generale, hanno subito in cinquanta anni di distruzione della scuola e dell'università».
Lei è anche un sociologo: come ci ha cambiato l'epidemia e come ci cambierà ancora?
«Nel caso dell'Italia mi aspetto un Paese più povero, più vittimista (in quanto sempre più dipendente dall'assistenza pubblica e dalla carità privata), più rancoroso e incattivito, perché la società signorile di massa non tornerà più. Ma ci sarà anche una minoranza (di ceto medio) che reagirà bene, ridimensionando le aspirazioni e cambiando gli stili di vita».
Intravede errori anche nella procedura di vaccinazione?
«Tanti, a partire da quelli dell'Europa che ha puntato sui vaccini sbagliati (per favorire Francia e Germania) e ha stipulato contratti deboli, come si vede in questi giorni».
Il governo usa toni trionfalistici sulla profilassi: li condivide?
«Il governo sta vaccinando fra un terzo e un quarto delle persone che dovrebbe vaccinare per raggiungere gli obiettivi dichiarati (immunità di gregge entro ottobre 2021). Ma siamo agli inizi e per ora la maggior parte degli altri paesi europei va ancora più lentamente».
Gli italiani si sono comportati meglio o peggio del governo?
«Peggio del governo è impossibile. Darei un 2 al governo, e 5 agli italiani. Con un'avvertenza: il 5 degli italiani è la media fra il 7 degli adulti e il 3 dei giovani».
C'è stato qualcosa di sbagliato, o di particolarmente azzeccato, nella strategia comunicativa?
«A giudicare dagli orientamenti dell'opinione pubblica, direi che la strategia comunicativa del governo è stata perfetta: è riuscito a convincere gli italiani che il virus fosse inarrestabile e a occultare le responsabilità del governo e delle autorità sanitarie. Chapeau!».
Uno degli aspetti più criticati nell'azione del governo è stato di aver prodotto un vulnus della democrazia: è vero?
«Stato di emergenza e dpcm sono misure eccessive, specie se adottate da un governo frutto di una manovra parlamentare».
La debolezza dell'esecutivo ha giocato un ruolo decisivo nella cattiva gestione della pandemia?
«Senz' altro, anche se il ruolo principale l'hanno esercitato la superficialità e la mancanza di cultura scientifica dei suoi membri».
Il premier si è fatto scudo della pandemia per nascondere le debolezze sue e del governo?
«Sì, senza il terno al lotto del Covid Conte sarebbe scomparso nel nulla da cui era venuto».
Come mai gli italiani, malgrado le evidenti difficoltà, concedono a Conte un gradimento alto?
«Penso che due elementi importanti del cocktail che ha miracolato Conte siano l'indifferenza degli italiani per la politica e l'assenza, in Italia, di un'informazione indipendente. Se giornalisti e commentatori avessero fatto il loro mestiere, forse non saremmo a questo punto».
E perché le opposizioni invece ce l'hanno basso?
«Perché la linea dell'opposizione non è mai stata realmente alternativa, anzi per certi aspetti l'opposizione - specie con Salvini - ha spinto per soluzioni ancora più incaute di quelle del governo».
Renzi dice cose giuste ma è impopolare: perché?
«Renzi dice molte cose giuste, e ha ragioni da vendere nel suo attacco al governo. Il suo problema è che non è credibile, oltreché un po' sbruffone. Promette di dimettersi se perde e poi non lo fa. Giura mai con i grillini e poi ci si allea per evitare le elezioni. Governa con Conte per un anno e mezzo e poi gli dà il benservito. Insomma, a me molte idee di Renzi convincono, il problema è la sua incoerenza».
Il Pd ha dato la sensazione di essere spettatore a tutto, dalla pandemia, alla crisi, al governo: come mai?
«Perché, anche se la conta con discorsi alati (gli interessi del paese, il bene comune, eccetera) la stella polare del Pd è solo il potere, come per il Pentapartito degli anni '80».
Prima della pandemia eravamo una società signorile di massa: ora cosa siamo?
«Ora siamo una società signorile di massa che non ha ancora preso atto di non esserlo più, e di essere in rapida transizione verso una società parassita di massa, in cui pochissimi lavoreranno e la maggioranza vivrà di modesti sussidi».
Quanto è ferito il tessuto economico italiano? E abbiamo possibilità di riprenderci?
«A questo punto non abbiamo alcuna possibilità di riprenderci, perché abbiamo dilapidato 150 miliardi (in deficit), pietrificato l'economia (con il blocco dei licenziamenti), e non abbiamo fatto nulla per rendere ancora possibile l'attività di impresa».
In che modo questa pandemia cambierà tutto?
«Se retrocedi di 30 anni nel reddito pro-capite, ma le istituzioni sono complicate e vessatorie come quelle di oggi, il cambiamento non può che essere regressivo: più povertà, più diseguaglianza, più frustrazione, più invidia sociale».
Siamo al declino dell'Occidente perché i nostri valori non reggono più i tempi?
«Non direi. È che i nostri valori li abbiamo ripudiati. I valori dell'Occidente non ci sono più, prosciugati dalla cultura dei diritti e dal vittimismo del politicamente corretto. Se non avessimo preso congedo da tutto ciò che bilanciava l'individualismo - capacità di sacrificio, differimento della gratificazione, rispetto dell'autorità e della cultura, senso del dovere - l'Occidente sarebbe in perfetta salute».